Come si fa a resistere alle voci di Juliana Gattas e Aerea Negrot che in una divertentissima lotta fonetica, si fanno le fusa a vicenda, come fossero due gattone anche un po’ feroci mentre dialogano su un groove sexy e dalle reminiscenze latin-house; stiamo parlando di RRRR, traccia d’apertura di “The Visitor“, nuovo lavoro di Matias Aguayo, musicista produttore Cileno, naturalizzato tedesco, al terzo album inciso a suo nome, il primo sulla sua etichetta, la Còmeme, arrivato dopo le esperienze in duo come Closer Musik, campioni indiscussi della Minimal Techno e dopo i due precedenti lavori firmati semplicemente come Matias Aguayo, come si diceva, entrambi usciti per Kompakt Records.
The Visitor segna un’impressionante evoluzione nel suono e nel concept del musicista Cileno, facendo fede al titolo, è un vero e proprio esperimento di osservazione etnografica, registrato in cinque anni di tempo durante un viaggio esteso che ha portato il nostro a Buenos Aires, Città del Messico, Rionegro in Colombia, fino alla fase di post produzione, stanziata a Berlino, dove Aguayo ha allestito il suo studio di registrazione, The district union, luogo che ha raccolto elementi di Cumbia, frammenti tropicalisti, dance primitiva, per poi metterli insieme con tutte le derive bianche del ritmo, dalla new wave al post punk fino all’elettronica minimale e ovviamente ad un substrato Techno, parte del bagaglio principale di Aguayo, ma che in questo nuovo lavoro subisce un decentramento fortissimo.
Si perchè è proprio il viaggio che gli ha consentito di deformare completamente i riferimenti del passato, più marcatamente legati alla Techno tradizionale e alla club music, andandosi a ricercare le connessioni di certa musica nativa con la house primitiva, costruendo progressivamente un ambiente sonoro dalla stratificazione ritmica ricchissima, quasi una psichedelia tribale che dialogando con i generi del consumo dancefloor, li riporta proprio li, per terra, in quella relazione sciamanica tra corpo e polvere.
Quella di Aguayo è un’operazione sincretica che confonde positivamente l’ascoltatore sulla provenienza dell’elemento ritmico un po’ come se l’artista Cileno assumesse il ruolo di una sorta di neo Peter Gabriel, pensiamo a quello di “Passion” naturalmente, ma più festaiolo, molto più incline al mash-up tra generi e per certi versi, più radicalmente legato allo scheletro della struttura ritmica. Non è un paragone astratto e gratuito, perchè in certi momenti (El sucu tucu, e sopratutto Aonde) The Visitor fa pensare a quella fusione tra onde occidentali e ritmo tribale nel seminale My Life in The Bush of Ghosts della coppia Eno-Byrne, album prodotto in un momento in cui la wave europea cominciava a confrontarsi con una sintesi inedita di elettronica, pop, ricerca etno musicale (Eno, Byrne, Bowie, Gabriel…)
Ma il terreno non è solo quello di una connessione biunivoca tra elettronica bianca e musica tribale, perchè Aguayo sa benissimo di lambire quei territori che si sono serviti della musica latina per rivitalizzare alcuni generi di consumo, R’n’B in primis, tanto da interessarsi principalmente a questo percorso vastissimo di influenze, privilengiando il propellente del movimento nel plesso solare e inanellando una sequenza di brani quasi ininterrotta, affetti da contagiosa febbre danzereccia; del resto, cita di tutto, dai Miami Sound Machine di Conga fino ad esempi più terragni e tamarri.
Il contrasto più frequente è quello tra una resa quasi diretta di alcune tradizioni percussive che attraversano tutti i brani di esplicita ascendenza latina, e il trattamento degli stessi attraverso groove e innesti prelevati dalla minimal techno, su queste stratificazioni, la voce dello stesso Aguayo dimostra un eclettismo davvero straordinario, perchè rispetto al precedente Ay Ay Ay, il terreno di sperimentazione è più aperto e duttile, si muove con l’assimilazione di molteplici culture, ed esce dalla gabbia obbligata di un solo genere di riferimento.
Ci si sente davvero di tutto dentro The Visitor, dalle forme già citate, alla musica industriale, fino all’elettronica post-punk dei Devo, un riferimento importante, se si considera che Aguayo, in alcune tracce, guarda alle tradizioni tribali che ha collezionato con lo stesso approccio di sintesi con cui i Devo guardavano al Rock’n’roll attraverso una lente elettronica che a sua volta era tutt’altro che fredda, ma al contrario spastica, demente, fisica, “suonata”; si ascolti a questo proposito l’incredibile A certain spirit che conclude l’album, birrazza sintesi di tutto quello che si è detto sin ora e che assembla e disassembla di tutto con notevole disinvoltura comunicativa.
Ma al di là del Viaggio, il turista eccellente è tornato con una valigia piena di interessanti testimonianze, la danza globale era l’obiettivo, un rito gioioso, rivoluzionario e carnascialesco che dovrebbe essere esteso alle nostre piazze, prima del coprifuoco.
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