Il racconto purgatoriale di The Weeknd prosegue anche in termini visuali. Dopo il video di Take My Breath diretto da Cliqua e diffuso sulle piattaforme social lo scorso agosto, tocca alla geniale Matilda Finn prendere in mano il percorso di espiazione indicato da Dawn FM, l’album del musicista e produttore discografico canadese.
L’ambientazione di Gasoline è simile a quella del video precedente, ma l’approccio è diametralmente opposto e assolutamente fedele alla ricerca della filmmaker londinese.
La formazione della Finn, lo ricordiamo, è preminentemente fotografica. Si è fatta le ossa nel campo della moda e ha plasmato la sua visione a partire dall’attenzione specifica al dettaglio.
I suoi video, che abbiamo analizzato più volte qui su Indie-eye, hanno un segno fortemente riconoscibile e rilanciano, da una prospettiva personale, alcune intuizioni della migliore videomusica degli anni novanta, con particolare riferimento alla videografia di Chris Cunningham soprattutto per i termini in cui la soggettiva ipnagogica plasma forme e parametri dell’immagine. Ciò che distingue il suo lavoro è l’emergere di una prospettiva rituale che rielabora i temi del desiderio e dell’ossessione secondo una traiettoria femminile che entra a gamba tesa dentro l’indicibile, riferendosi alternativamente al cinema di Cronenberg, Tsukamoto, Alison McLean, ma anche alla fotografia di Anna Gaskell per quanto riguarda gli aspetti legati alla mutazione identitaria, corporea e percettiva.
Ecco che il video di Gasoline è il rovescio della palpebra rispetto al lavoro sulla luce della clip precedente, perché a differenza della patina estetica presente nel lavoro di Cliqua, identica a tanti altri video che lavorano sull’immaginario clubbing, la percezione modificata dall’intermittenza illuminotecnica serve alla regista inglese per stabilire un continuo passaggio nella dimensione onirica, mutando a vista forma, distanze, prospettiva e dimensioni del set.
Gli aspetti performativi del video musicale e il modo in cui storicamente il set nei videoclip muta con la trasformazione del movimento ritmico, vengono sfruttati dalla Finn per creare un saggio formidabile sul disorientamento percettivo, dove al suo interno lo spazio di incontro tra sogno e veglia viene trattato come una variazione sul tema del doppio, ma anche come una personale lettura della realtà aumentata.
Nello scontro di Abel Makkonen Tesfaye con i mostri del proprio inconscio, Matilda Finn innesta altre prospettive, non immediatamente individuabili, tant’è chi ha scritto del video, incluso quelle poche realtà che in Italia si occupano di promo, spesso in modo improvvisato e maldestro, ha enumerato semplicemente i trascorsi del producer e musicista con le droge, l’alcool e altre forme di dipendenza. Questioni tematiche di poco conto rispetto all’analisi visuale.
Che la violenza estrema del video della Finn funzioni anche da cautionary tale, può starci, ma affidarsi in modo così netto all’interpretazione letterale del concept serve solo a delegittimare un lavoro molto più complesso sull’immagine.
L’involucro del video è quello del cinema horror. Il viaggio in macchina serve per oltrepassare la barriera del reale ed entrare in quella dell’incubo, almeno apparentemente perché la simmetria è evidentemente rovesciata. Il dettaglio introduttivo sul doppio marcescente di Abel, infestato di formiche, serve proprio per confondere i piani di realtà, la provenienza è infatti il regno della morte.
Il dancehall condivide quindi lo spazio semantico del cinema horror, ma anche quello delle arti performative, dalla danza al musical, per come sono state cannibalizzate dal videoclip industriale almeno dagli anni ottanta in poi.
Su questi due topoi, uno come dicevamo proveniente dall’immaginario cinematografico, l’altro da mondi creativi diversi, Matilda Finn gioca moltissimo e disattende continuamente la possibilità di individuare la realtà in modo univoco, sovvertendo la dinamica percettiva.
Straordinario in questo senso, al pari del disvelamento delle componenti RGB nel coup de théâtre di un famoso video di Rybczyński, l’improvvisa rivelazione scopica dei due piani di realtà, uno sopra l’altro, o forse uno dentro l’altro, e ancora, considerata l’allusione esplicita alla visione VR, l’uno generato dall’altro.
La posizione del sottosuolo allora non è così facile da individuare; certamente è una dimensione, intesa anche in termini interiori, che alla Finn interessa molto, come dialogo costante con la mutazione del meraviglioso nell’orribile. A questo proposito, si pensi al significato sessuale che investe la simbologia del germoglio e alle forme ibride che assume il corpo femminile, vero e proprio territorio dove la summa dell’immaginario desiderante, da vita ad una nuova esplosione creaturale, capace di scardinare il diavolo nell’occhio di chi guarda.