lunedì, Dicembre 23, 2024

This is my hand – il video di My Brightest Diamond: un bellissimo rituale

Shara Worden aveva in mente il video di This is my hand sin dall’agosto 2014, poco prima di pubblicare il suo nuovo album e subito dopo l’uscita della title track come singolo di presentazione dell’intero lavoro.

Non ne avevamo parlato insieme nella lunga intervista concessa per indie-eye perché ci era sfuggito il progetto e l’intenzione. Il video era stato pubblicato lo scorso aprile da Asthmatic Kitty un paio di mesi fa nella versione performativa, la regia è di Raphaël Neal, attore già per Sofia Coppola e Claire Denis (Trouble Everyday), straordinario fotografo e regista al suo primo lungometraggio con Fever.

Il video viene presentato da NPR in anteprima nella versione girata in studio e accompagnato da un articolo di Katie Presley che raccontava il progetto partecipativo ancora in fase di post-produzione e raccolta materiale, attraverso una serie di considerazioni che citavano l’incorporamento e la rimodulazione del rapporto tra spirito, performance, corpo e dimensione virtuale tirando in ballo Judith Butler e Marina Abramovic.

La questione è anche quella raccontata dalla Presley ma con alcuni elementi in più: questo il risultato rilanciato proprio ieri 22 luglio 2015 come un vero e proprio remix di elementi transmediali  sul canale youtube ufficiale dell’artista americana, con tutti gli innesti partecipativi ricavati dall’intervento di una fandom che dialoga invece di esser sospinta in una posizione di subalternità.

Si tratta di un “fanvideo” nell’accezione più connettiva possibile, ovvero quella di un dialogo fecondo tra la musicista e chi la segue con affetto. Ma non è il risultato di un processo di rispecchiamento, perché la Worden, artista dalla grande sensibilità, non ha certo scelto una via auto-celebrativa. La celebrazione, sicuramente presente, è da intendersi in termini rituali, come aveva spiegato prima ancora di metter mano alla post produzione durante un’intervista concessa a Hitfix: ” Ho scritto quest’album pensando ad una tribù immaginaria di persone, riunite intorno ad un fuoco, mentre fanno musica insieme e raccontano storie, ponendo attenzione alle parole dello sciamano. Me li sono immaginati mentre danzavano, ma quando mi sono avvicinata alla “dance music” mi sono resa conto quanto tempo della mia vita avevo passato dissociandomi dal corpo. Sono cresciuta in una cultura Cristiana di tipo conservatrice  che in termini essenziali definiva il corpo come “il male” e quindi, come musicista donna, sin dagli inizi sentivo che non sarei stata presa sul serio come artista se non avessi anche danzato, ecco che mi sono “sconnessa”, concentrandomi sulla mente. Questa canzone parla dell’accettarsi e del re-interpretarsi come un tutto, e pensando a quello che accade nel mondo, con l’immagine del corpo, la nostra sessualità, la schiavitù e il razzismo, ho percepito chiaramente l’appartenenza di questa canzone ad una tribù più larga. Per questo ho deciso di aprire la realizzazione del video a più persone in uno scambio di natura rituale, consentendo alla tribù di mostrare se stessa nei modi più belli e più vari

Sono parole chiarissime e allo stesso tempo ricche di stimoli. Nel video la Worden usa il proprio corpo come uno schermo e allo stesso tempo come un ponte tra l’immagine e il gesto. Il corpo diventa un trasduttore, e trasforma l’immagine stessa. Vengono in mente gli scritti di Vivian Sobchack, quelli raccolti nel suo volume più accessibile quindi più ricco, intitolato Carnal toughts, dove la filosofa americana ci racconta quanto l’esperienza del cinema, per come la conoscevamo, abbia perso progressivamente la dimensione binaria di tipo scopico: ti guardo, sono guardato, ci guardiamo attraverso l’opacità dello schermo, per includere altri sensi, coinvolti allo stesso livello nell’esperienza audiovisiva.

Ecco, in modo più diretto, ci sembra che questa sinestesia immaginata sul piano teorico, sia tangibile nel video della Worden, sia perchè la centralità isolazionista dell’autore salta completamente in aria, ma anche perché persiste e resiste come parte creativa tra altre, un connettore che accetta di incorporare altri corpi nel proprio come ferite vive. Fa venire i brividi se si pensa all’aderenza fortissima con il pensiero situazionista senza che questo diventi l’alibi che ha sviluppato solo la pars destruens, con un cinismo insopportabile, troppo spesso agito sulla nostra pelle e con i soldi di mamma stato. Perché qui l’interpretazione dei mezzi connettivi e dei presidi social, entra in un’esperienza di scambio rarissima dove il virtuale non è uno scudo ma un fortino da smantellare. Il dispositivo è trasparente, finalmente davvero virtuale, cioè possibile.

Ascoltando nuovamente il brano, grazie anche al modo in cui la musica si re re-inventa attraverso le sovrimpressioni e gli innesti, viene in mente il modo in cui corpo, parola, immagine, ritmo interagivano nell’arte di Laurie Anderson, ma con un’inversione di polarità. “This is the hand, the hand that take” in quell’immagine automatica e terribile del braccio armato di una madre-america osservata come mostruosa macchina celibe da sabotare, facendosi corpo automatico, drum machine, anima vocoderizzata nel passaggio da organico ad inorganico, diventa “this is my hand”, la verità dello spirito che decide con coraggio di toccare gli schermi e attraversarli come fossero speaking parts non più congelate dalla trappola catodica: these are our hands, potremmo finalmente scottarci.

Atom Egoyan - Exotica
Atom Egoyan – Exotica

 

The Adjuster - Egoyan
The Adjuster – Egoyan

Onestamente, e senza paura di apparire troppo eretici, preferiamo la versione anti-nichilista, con un solo rammarico: quello di non aver mai partecipato abbastanza, anche solo per scardinare l’ipotesi verticale di una rete schiava della peggior comunicazione e dell’immagine più triviale di quel potere senza immaginazione. No, non è mai abbastanza: puoi chiamarlo Fabio Fazio o Nanni Moretti, sarà sempre l’idea di una psicopatologia elitaria, con la presunzione di aver raggiunto l’intangibilità divina, con il nostro corpo e il nostro sangue, oltre al valore più triviale dei nostri soldi, a far da pasto per l’eucarestia di pochi.

my-bright-mau

Shara Worden, 13 ore fa:

Hi dear ones, Two years ago, I wanted to make a dance record, but I didn’t know how to make dance music. For lots of reasons, I had disassociated with my body and so when I started to write, I wanted to begin at the beginning, which was simply to make a list of my body parts, as a dance, a ritual, a reclaiming song. I wanted this song to be for our tribe, and so we asked you to jump on Instagram and create a ritual together with us, of what each word in that list meant to You and YOU DID IT!!! We have seen so many amazing pictures of what your love, your sex, your shadows, your eyes, your hate, your hands mean to you and we FINALLY HAVE A VIDEO! Thank you director Raphael Neal for putting this together for us!!! I CANNOT THANK YOU ENOUGH!!! 

This is my hand
This is my wrist
This is my arm
This is my fist
like a twisted vine wraps around entwining
This is my face
This is my mouth
This is my eye
This is my brow
like lilac wine pouring out to thee for thee
This is my shape
This is my form
This is my age
This is my frame
This is my mind
This is my voice
This is my heart
This is my choice
This is my thigh
This is my sex
This is my hip
This is my breast
This is my shadow
This is my height
This is my line
This is my doubt
This is my bloom
my flame
my joy
my aim
to love
to love
to love
This is my shape
This is my form
This is my age
This is my frame
This is my mind
This is my voice
This is my heart
This is my choice
This is my time
This is my breath
This is my right
This is my left
This is my shadow
This is my height
This is my line
This is my doubt
This is my bloom
my flame
my joy
my aim
to love

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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