I Tijuana Panthers fanno quel tipo di musica il cui vessillo è portato in alto da etichette come la Burger Records, la Evil Weevil, per non parlare di Drag City, Goner e In The Red, da anni queste benemerite scavano nel torbido dei paesini e nella suburbia delle metropoli per far emergere nuovi eroi scapigliati da consegnare alle cronache musicali. Ogni tanto qualcuno scavalla e prova a fare il grande salto (vedi King Tuff che l’anno scorso ha fatto uscire un disco per la storica Sub Pop) ma sostanzialmente parliamo di un movimento che difficilmente riesce ad avere una connotazione differente da quella dell’underground indipendente. Questa cosa ovviamente ci rende felici, giacché non è certo ai piani alti che si fa buona musica.
Semi – Sweet è il secondo album per la band di Long Beach che segue l’esordio Max Baker. La formula è rimasta praticamente immutata: garage beach pop frizzantino, un approccio disimpegnato alla musica da birra ghiacciata e patatine alle sei del pomeriggio sul bordo di una piscina scalcagnata, tanto per tratteggiare un’ immagine che possa rendere l’idea. I riferimenti sono quelli a cui state pensando anche voi: ultimi Black Lips, gli Oh Sees più solari, Jacuzzi Boys, The Babies, Best Coast e così via, ovviamente col santino dei Beach Boys in tasca e con il sogno di riuscire a creare il singoletto da due minuti due che possa competere con qualsiasi cosa scritta dai Ramones prima del 1980. Impresa mica facile. Però i Tijuana sono simpatici, divertono e oltre a quel sogno lì non è che abbiano chissà quali pretese. E poi per l’Estate sono perfetti, credetemi.