Patrick Stickles, il leader, cantante e songwriter dei Titus Andronicus, non ha mai nascosto una certa propensione all’esagerazione nella sua musica, intesa in senso buono, come voglia di darsi e di dare tanto all’ascoltatore. Questa voglia si esprime anche nella poderosa quantità musicale che viene proposta nei dischi della band, basti pensare che il brano più famoso (finora) del gruppo del New Jersey, A More Perfect Union, è una cavalcata di sette minuti in bilico tra tentazioni classicamente rock e spirito punk capace di citare l’illustre compaesano Bruce Springsteen dopo essere stata introdotta da un discorso di Abramo Lincoln e prima di essere chiusa da estratti dell’abolizionista William Lloyd Garrison, all’interno di un concept album, The Monitor, sulla guerra civile americana.
Con questo The Most Lamentable Tragedy Stickles e compagni tornano a cimentarsi con un concept, questa volta la storia di un uomo, chiamato “our hero”, che affronta i demoni della depressione e riesce a sconfiggerli, attraverso una confezione “kolossal” costituita da 29 canzoni e 92 minuti di musica che vanno a formare due cd di densità considerevole dal punto di vista sia lirico che sonoro. Opere di questo genere sono ormai appannagio di un gruppo ristretto di folli, vengono in mente ad esempio i Fucked Up con il loro David Comes To Life, anche perché si corrono rischi che nella discografia odierna pochi vogliono correre. I Titus Andronicus evidentemente non hanno paura di niente e si buttano a capofitto nell’impresa, regalandoci un disco che vale assolutamente la pena di ascoltare.
All’interno dei cinque atti che compongono l’opera la band gioca con buona parte dello scibile rock dagli anni Settanta ad oggi, ricordando sia nomi più classici del rock da stadio (dal già citato Springsteen con tutti i suoi epigoni fino anche a Meat Loaf, un altro che non ha mai evitato di esagerare) sia gruppi contemporanei dalle radici punk che sembrano avere la stessa visione musicale dei Titus Andronicus, come ad esempio i Lucero o gli Hold Steady, con cui condividono anche il gusto per l’autocitazione (ad esempio in questo disco c’è un brano intitolato More Perfect Union…). C’è anche spazio per un paio di cover da altri mondi, cioè I Lost My Mind (DJ) di Daniel Johnston, inserita perché a tema con il concept del disco, e A Pair Of Brown Eyes dei Pogues, che parla anch’essa di gente che ammattisce e che serve anche a ricordare che la musica bianca nordamericana arriva pur sempre dalla lontana Irlanda.
Chiudo la recensione ripescando quanto scrissi per i Fucked Up ormai quattro anni fa e che vale ancor oggi per i Titus Andronicus, là nel mondo di chi fa musica con cuore e coraggio: “Un disco di non facile ascolto dunque, ma che ha il pregio di essere un’affermazione di vitalità e un necessario e sentito grido di rabbia. Cos’è il punk, se non questo?”