Che razza di creatura è quella che si cela dietro la sigla Toehider? Il combo Australiano torna a tre anni di distanza da “To Hide her” primo effettivo full lenght del collettivo guidato da Mike Mills (niente a che vedere con l’omonimo ex R.E.M.), uscito dopo un Ep omonimo e il progetto “12in12” ovvero 12 minialbum pubblicati nell’arco di un anno e tutti afferenti ad una varietà di generi che cambiava duscita dopo uscita. Chi li ha già ascoltati sa bene che gli sconfinamenti e le sbordature sono l’elemento coesivo di tutto il progetto, uno spirito delirante e popolare che ha fatto alcuni proseliti in area prog-metal ma che in effetti potrebbe tranquillamente adattarsi in contesti diversissimi, sopratutto in un momento in cui il mash-up digitale ha sostituito l’estetica della citazione con una rielaborazione ipertrofica e frammentata del discorso musicale. Senza alcuna preoccupazione di farsi inquadrare in un contesto, i Toehider prendono l’epica trash metal buttandola in commedia, i Queen da operetta, il folk irlandese e la scena di Canterbury (tra Gong e Matching Mole) e fondono il tutto in una serie di tracce appiccicose, epiche e orientate alla narrazione visionaria e comunicativa allo stesso tempo. “What kind of creature am i?” è quindi un mostro sonoro, l’incubo di un “otaku” che ha costruito la propria cultura musicale scambiando i dischi con gli amici e discutendo dei massimi sistemi nel pub sottocasa, e che invece di scegliere una strada, ha optato per un frullato steroideo di tutti gli ingredienti.
Colpisce l’assoluta mancanza di snobismo e la volontà di costruire un linguaggio magniloquente senza tenere in considerazione la deriva del gusto nella sua variante “cattiva”; un’operazione a tratti sorprendente che mette in abisso l’attitudine posturale dei rockers contemporanei con ibridazioni considerate tabù dai benpensanti di tutte le latitudini, anche perchè chi avrebbe avuto il coraggio di nobilitare la retorica epica di Brian May facendola reagire a stretto contatto con la poesia di Pete Sinfield, il futurismo eccessivo di Allan Holdsworth, il rhythm and blues oltre misura di John Lord e le orchestre metà organiche e metà cibernetiche di Hans Zimmer; what ever makes you feel superior, per esempio, mette insieme tutti questi elementi nello spazio di sei minuti, con una scellerata sfacciataggine che se non consente di gridare al colpo di genio, permette di valutare con attenzione che tipo di creature siamo diventati dopo che il post-moderno ci ha abituato semplicemente a digerire macerie e spazzatura nello spazio liquido della rete.
Per chi scrive i Toehider sono uno dei pochi antidoti disponibili alla spocchia, al metodismo e al malcelato fascismo di chi ancora crede ai confini, alle chiese e a quello che è più conveniente ascoltare. E se un brano come Whoa! scoraggia per la sua aderenza ai peggiori Queen da stadio, allo stesso tempo sorprende per come riesce a spingere quello spirito in un territorio di astrazione estrema e delirante; stessa cosa si potrebbe dire per la schizoide You and i both lose, ma sopratutto per l’incredibile Meet the sloth, dove il melodramma di Freddie Mercury, con una mostruosa operazione d’innesto, dialoga con Peter Hammill su uno sfondo folk filologicamente ineccepibile e senza alcuna soluzione di continuità; geniali e anarchici i Toehider se ne fottono della storia e sopratutto, di tutti noi, poveri democristiani travestiti da alternativi.