In un tempo precario, la tradizione delle canzoni migranti viene sostituita da un viaggio a vuoto e anche Tommaso Di Giulio, per introdurre il suo nuovo lavoro, racconta un’America fuori luogo, una dimensione mentale che fa i conti con la disillusione più che con il sogno. Un bel pugno nello stomaco quello che ci regala il cantautore romano in apertura del suo nuovo L’ora Solare, raccolta di bozzetti intimi nati intorno all’idea di tempo e spesso vicini al modo in cui questo si inceppa, tra desiderio e aspirazioni.
“se diamo tempo al tempo | il tempo s’impigrisce | ma se lo rincorriamo | sparisce“; un fuori sincrono malinconico e allo stesso tempo vitale, che trova corrispondenza nelle scelte sonore, forse tra le più stimolanti del panorama cantautorale coevo, quello degli anni zero che sfortunatamente ha azzerato tutti gli stimoli, riducendoli ad una scarnificazione in parte legata al passato, ma troppo spesso priva della capacità di staccarsi da una certa forma penitenziale, chissà, forse radicata in quella tradizione cattolica pronta a riemergere quando meno te lo aspetti. Ma Tommaso Di Giulio, come si diceva, non condivide molto con gli autori della depressione suburbana e fortunatamente gioca con i generi, nello stesso modo in cui lavora sulla parola; un eclettismo mai fine a se stesso e che sfruttando più di una tradizione, inclusa quella delle torch songs in odor di tex mex (la splendida Spesso e volentieri), alla fine risulta miracolosamente italiano nella sua ibridazione. E mentre cita il rock blues dei Fuzztones nell’acidissima Il misantropo, piazza uno dei ritratti più ficcanti della facebook generation, qui descritta senza mai perdere il senso del gioco e dell’ironia e sopratutto, mantenendo alto il livello dell’allusione: “in una stanza con molte persone | praticamente in accordo su niente | al termine della conversazione | sarà la stanza la più intelligente“.
Realizzato con la collaborazione di una cinquantina di persone, L’ora Solare ospita musicisti come Enrico Gabrielli, Roberto Angelini, Ilaria Graziano, Fabio Rondanini e la folk band dei Bottega Glitzer, a conferma di un progetto che trova la sua forza nell’orchestrazione, passando da un rock più “solido” e vicino alle sonorità degli anni ’90 (Poveri Posteri, Novanta) per sfiorare i confini del folk da strada (Tango per un povero diavolo), quelli degli anni ’50 (Ragazzo per agosto) e persino i suoni di Nashville (La trappola), senza che si tratti di fortini inespugnabili, ma cambiando le carte anche all’interno di un solo brano. Ascoltando Musica da Camera con attenzione, ovvero il brano più “classico” dell’intero lotto anche in relazione alla tradizione del pop melodico italiano, si rimarrà sorpresi dalla capacità di Tommaso Di Giulio di passare da un registro all’altro, parodiando i generi senza gettarsi alle spalle l’intensità emotiva.
E nel brano chiave dell’intero lavoro, Universo: Ora Zero, emergono gli ottoni di Enrico Gabrielli, essenziali per costruire un’onirica dimensione minimal, quasi provenisse da una zona di frontiera, la stessa che Di Giulio pratica attraverso quattordici brani condotti con estrema abilità sul limite tra pop, grandeur orchestrale e introspezione.