venerdì, Novembre 22, 2024

Tribuna Ludu – Le furie: tragici, sintetici, catartici

Che il nostro mondo, anche quello più semplicemente privato, abbia perso quella coincidentia oppositorum che per Friedrich Nietzsche era stata raggiunta dall’Atene del V secolo è abbastanza chiaro nei continui tentativi della politica di limitare qualsiasi deriva caotica, invece di comprenderla. Basta semplicemente pensare alla gestione dello spazio pubblico in alcune città Italiane, più incline a garantire una medietà residenziale rispetto alla funzionalità complessa e stratificata di contesti come quello Berlinese. Tra Banksy e Clet Abraham, la cui sede cittadina è la stessa dei Tribuna Ludu, c’è una bottega nel mezzo, riconoscibile, raggiungibile e sempre più integrata nel tessuto urbano, al netto delle difficoltà legali che il geniale artista di origini francesi può aver incontrato con l’amministrazione pubblica.

La forza radicale del tragico, come superamento dell’esperienza condivisa e conforme a precisi principi etici è un’occasione difficile nella città contemporanea, anche in termini semplicemente spettacolari; non si tratta di riconoscere o meno il suo assorbimento in altre forme popolari (cinema, fumetto, letteratura, street art, musica) quanto di relazionarsi a queste apparizioni come possibilità di oltrepassare limiti fisici e psichici.

Nell’Orestea di Eschilo, a cui il nuovo album del combo fiorentino si ispira, Zeus concede all’uomo la comprensione di una via saggia e consapevole attraverso una legge ben precisa: “sapere è soffrire”, ovvero accettare i propri limiti è l’unica possibilità per non piombare nel caos.

Difficile capire se queste siano le vere intenzioni del discorso affrontato dai Tribuna Ludu, certamente il carico simbolico di significato con cui “Le furie” si presenta, rischia in parte di far traboccare l’esperienza dell’ascolto in una dimensione astratta legata più al cervello che al corpo, e considerato che i due elementi sono ben presenti in parti uguali nel bellissimo lavoro della band, sarà quindi più utile capire quanto di questo conflitto tra apollineo e dionisiaco viene concretizzato nell’esperienza sonora di Fragasso / Vassallo / Bianchi e concettualizzato in termini sonori.

Rispetto alla prima vita della band, come avevamo raccontato in occasione dell’uscita dell’EP di lancio incaricato di aprire il nuovo corso, rimane un interesse fortemente ritualistico nella musica dei fiorentini, ma con l’introduzione massiva di un tessuto elettronico a far da traino. Quella dei Tribuna Ludu non è trance music rileccata, ma ha molto più da spartire con la club culture d’assalto, per niente preoccupata di mettere insieme furore e brutture moderne, suoni del passato e strane derive mutanti, in perfetta sintonia con quella coincidentia oppositorum urbana che si può sperimentare nelle città che stratificano più storie architettoniche; tant’è l’album si apre proprio con una traccia dal titolo Architettura ostile, un vero e proprio mostro acustico e politico, dove alla raffinatezza sonora si preferisce la complessità concettuale dell’innesto, che non deve essere per forza tutto brutto o tutto bello, perché tiene traccia di esperienze collettive molto diverse tra loro, dalla musica industriale ad una versione rallentata dell’elettronica massificata dei Prodigy; la via dell’ascolto è quella di un ibrido complesso, ma diversamente dai falsi metafisici di Fatima Al Qadiri, il corpo qui non è un simulacro digitale ma ha una consistenza fisica concreta, grazie anche al lavoro di Simone Vassallo sulle percussioni, orientate a tirar fuori dal metallo della città, una forma totemica e rituale.

Un titolo come Frattaglie in fondo può alludere ad una cultura “gore” pecoreccia ma anche alla coesistenza tra inorganico e organico; perché se dentro l’architettura ostile gronda sangue, qui Fragasso si lascia andare ad un mantra satanico che evoca le violenze di Avetrana, ovvero il tragico contemporaneo piantato dentro al cuore dell’istituzione famigliare, per come lo abbiamo vissuto attraverso la connessione consociativa tra crimine e mass media; è l’incubo del “Cameraman e l’assassino” descritto in forma sonora, basta pensare all’inquietante lezione d’urbanistica nel film di Belvaux, Bonzel e Poelvoorde, come chiave di lettura di un discorso che identifica lo sguardo televisivo come origine del crimine seriale e allo stesso tempo racconta le contraddizioni del tessuto urbano come teatro di armonie forzate. Non è una considerazione peregrina, se si tiene conto che anche Frattaglie, così come l’intero “Le furie” rielabora la musica industriale con una diversa semantica che sovrappone sintesi elettronica al clangore metallico senza soluzione di continuità. La città è ancora al centro di Muzak per metropoli dove si cerca una dimensione meditativa impossibile nell’orrore del mercato (sarà il momento di cercarti ai saldi) con Fragasso che segue il percorso modale del primo Battiato mentre il microkorg di Bianchi insieme ai tamburi e alle percussioni di Vassallo impostano una drone music più vicina all’oriente sciamanico che all’elettronica ambient.

E l’oriente torna su Rettilario a conduzione familiare, in una strana declinazione dell’estetica post-punk, resa irriconoscibile dall’emergere del rito nel deserto di metallo e vetro.

In fondo, l’unico brano più esplicitamente dancefloor, Alla gogna, forse con la sopravvivenza di una lieve salmodia ferrettiana da cui i nostri sembrano salvificamente smarcati, è una delirante eterotopia tra liberazione e orrore, una danza spastica uscita dalla città che con la scusa del bello, ha nascosto i contrasti sotto al tappeto di lusso.

Le Furie su Spotify

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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