venerdì, Novembre 22, 2024

Tricky – Adrian Thaws: la recensione

I ritorni in auge sono sempre da maneggiare con cura, specialmente quando il soggetto in questione deve confrontarsi, continuamente, con un passato ingombrante e dalla presenza massiccia. È il caso di Tricky che il suo ultimo album, il dodicesimo in studio, sceglie come moniker il proprio nome di battesimo, un procedimento di dis-velamento che segue una direzione opposta rispetto il canonico iter. Che il ricorso al nome di battesimo voglia essere un richiamo ad un ritorno alle origini, ad un anno 0 generatore di tutto, è facilmente suggerito non solo dal titolo, ma anche da alcuni palesi richiami ai primi passi del bristoliano che sulla fine dei ’90 segnarono la sua fortuna. Quello che risulta è un gigantesco meltin’ polt di generi, influenze e tendenze non esclusivamente proprie dello stile Tricky anzi, il più delle volte è facile storcere il naso per alcune inserzioni decisamente periferiche agli album precedenti; l’entrata a gamba tesa della super black Gangster Chronicle, rappata in pieno stile r’n’b da Bronx cattivo, il riff iniziale di Keep Me In Your Shake posto come tributo per Heaven Beside You degli Alice in Chains (perché?), la cover di Janet Kay Silly Games (di nuovo, perché inserire una cover per quanto gradevole alquanto fuori tiro rispetto il resto dell’album? Esercizio di stile o, peggio, riempitivo?).

Adrian Thaws rinsalda il felice legame con Francesca Belmonte che col suo modo di cantare così sfuggente da sembrare disinteressato alla materia con cui ha a che fare, regala un tocco nostalgico all’intero lavoro. Non a caso i pezzi migliori dell’album, nonché ascolti obbligati sul totale delle tredici tracce, sono Nicotine Love incontro plastico fra atmosfere dance e trance sensuale e l’elisir narcotico di I Had a Dream.

Ancora distante da Maxinquaye, ma del resto gli apici assoluti si toccano una volta sola, Adrian Thaws segue la direzione di False Idols ossia portare avanti porzioni di creatività e infoltire un network di collaborazioni di ottimo calibro (Nneka e l’ottima Tirzah su Sun Down, per dirne alcune) senza puntare al singolo di successo o alla hit radiofonica, piuttosto assestarsi su tonalità squisitamente clubbing dai contenuti poco impegnati.

Giulia Bertuzzi
Giulia Bertuzzi
Giulia vede la luce (al neon) tra le corsie dell'ospedale di Brescia. Studia in città nebbiose, cambia case, letti e comuni. Si laurea, diventa giornalista pubblicista. Da sempre macina chilometri per i concerti e guadagna spesso la prima fila.

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