Post-Punk-Interruptus
Ricostruire la storia della musica indipendente e alternativa Ucraina non è un’impresa facile. Definizioni come “Novaya Scena” e la recentissima “New Ukrainian Music“, non circoscrivono fenomeni omogenei, ma impostano un dialogo difficile tra passato e presente. A differenza di tendenze omologhe in occidente, i percorsi di alcune scene musicali, hanno fatto i conti con la complessa storia del paese, tra le pressioni e le censure governative a cavallo tra gli anni ottanta e i novanta. L’esplosione di stimoli che per alcuni decenni si sono sviluppati nella semi clandestinità, hanno confinato la fruizione in una zona grigia, tra grande fermento creativo e potenziale oblio.
Il post-punk Ucraino in qualche modo tracima anche nella scena alternativa degli anni novanta, così come la “New Ukrainian Music” del 2014 nasce come ridefinizione identitaria e creativa di una storia politica traumatica, che in qualche modo recupera le istanze del passato come genoma rivoluzionario. Rispetto al citazionismo formale che dal nuovo millennio in poi ha caratterizzato la musica dell’Europa occidentale, il revival in Ucraina segue coordinate diverse, più creative e decisamente più urgenti.
Un’etichetta come la Shukai records, per esempio, è specializzata nel recupero di musica ucraina perduta, in un periodo circoscritto dagli anni sessanta ai novanta, pubblicata spesso su nastro o su supporti ormai introvabili. Il concetto stesso di etichetta è in certi anni molto labile, e si qualifica secondo una filosofia DIY, intorno ai concerti clandestini allestiti nelle abitazioni, alla rete dei festival, al passa parola.
La ricostruzione del passato musicale ucraino tra gli anni ottanta e i novanta del novecento è complessa e comincia grazie al lavoro di etichette come la già citata Shukai e ad alcuni recuperi degli anni novanta operati dalla Quasi Pop Records, etichetta ostinatissima che a partire dai primi anni del nuovo secolo ha distribuito anche le proprie novità rigorosamente su audiocassetta, mantenendo quindi un fil rouge ideale con modalità produttive che fino a trent’anni fa caratterizzavano una prassi difficile, tra autogestione e attitudine clandestina. A queste operazioni di recupero, si aggiungono le iniziative di alcuni giornalisti, tra cui Tetiana Yezhova, che oltre alla sua attività di documentazione, per lo più pubblicata in rete, ha realizzato un film sul rock indipendente 1986-1995, circoscritto alle sole band attive nella città di Kyiv e intitolato Дайте звук, будь ласка! (Accendi il suono, per favore!) (parte uno e parte due).
Howl è il singolo di Mund, tratto da Hunting, l’album di debutto dall’artista ucraino pubblicato su cassetta da Quasi Pop nel 2017. Il video è un piccolo capolavoro diretto dallo stesso Pymin Davidov, vero nome di Mund, tra gli artisti indipendenti ucraini più interessanti in circolazione.
Ucraina: nuovi paesaggi elettronici. Tradizione e innovazione
Ma è nell’ambito della musica elettronica che si verifica il fermento più stimolante, che ci consente di affrontare un presente in divenire. Questo si svolge intorno all’esplosione della rave culture degli anni novanta, ma anche nell’ambito più accademico della sperimentazione elettroacustica, che in più di un caso dialoga con la scena techno contemporanea. Un approccio che viene sancito da festival come il seminale Nextsound, dove questo scambio fecondo tra i veterani della sperimentazione e le nuove propaggini spontanee della musica elettronica, trova un inedito spazio di convergenza, capace di influenzare le nuove generazioni attraverso una storia enorme e vastissima legata alla ricerca in ambito colto, ma anche alle contaminazioni della musica folk, finalmente libera dall’immagine simulacrale che il regime sovietico aveva imposto. La kermesse ideata da Andrey Kiritchenko è stata un fiorire di nuove idee anche in termini produttivi, con la fondazione di un’etichetta specifica che ha caratterizzato l’elettronica non solo Ucraina, ma dell’intera Europa negli ultimi venti anni.
Se il regime sovietico aveva cercato di normalizzare la tradizione musicale popolare ucraina, confinandone gli elementi sonori e strumentali in un ghetto folk impermeabile, è proprio contro questa concezione che la musica pop, rock ed elettronica contemporanea comincia a dialogare con gli aspetti più indomiti della tradizione. Con il termine sharovarshchyna ci si riferisce ai larghi pantaloni dai colori sgargianti indossati dai cosacchi dello Zaporozhye, un costume teatrale concepito dal mondo sovietico che diventa anche immagine standardizzata della musica popolare Ucraina. Si tratta per certi versi dello sfruttamento superficiale e stereotipato di una cultura complessa. Maria Sonevytsky, etnomusicologa dell’Università di Berkeley in California, ha studiato approfonditamente il fenomeno e ha assegnato al termine sharovarshchyna una definizione più ampia. Dalla storicizzazione del concetto all’interno del regime sovietico, fino alla capacità delle nuove formazioni folk come i DakhaBrakha, di ravvivare la tradizione al di fuori di un rigido contesto accademico, con una nuova concezione di World Music. Si recuperano quindi suoni dimenticati, selvaggi e inediti del folklore musicale ucraino, per contaminarli con altre influenze, da oriente a occidente. Per Sonevytsky questo aspetto identifica la liminalità geopolitica dell’Ucraina stessa e sconvolge le strutture musicali “alla moda” del Sud Globale.
DakhaBrakha in questo senso, è una delle esperienze apolidi e multiculturali più interessanti del panorama musicale globale, forse dai tempi della Penguin Cafè Orchestra. Il quartetto nasce a Kyiv nel 2004 e oltre ad una rilettura del proprio folklore, introduce elementi musicali bulgari e ungheresi, strutture prelevate dalla musica africana, il tutto con l’intenzione di restituire gli aspetti più selvaggi e rituali della musica tradizionale.
Vesna, il brano veicolato da un video di Diana Rudychenko, esce cinque anni prima di uno dei loro dischi fondamentali, quel “The Road” che dedicano proprio all’Ucraina, negli anni più difficili per il paese. Di recente, l’ensemble ha cambiato tutte le thumbnail dei propri video sul canale ufficiale Youtube, con un banner che recita “No War – Stop Putin“
Contaminazioni e intertestualità sono quindi le caratteristiche fortemente apolidi della musica contemporanea Ucraina, in qualche modo vicina al “quarto mondo” preconizzato da Brian Eno e John Hassell nelle loro Possible Musics. In quel caso, le estetiche primitiviste e rurali, venivano combinate con una concezione futuristica per il 1980, dove la world music incontrava la decostruzione elettronica.
Questa sintetica e insufficiente ricognizione ci serve per introdurre le produzioni, le sonorità e i numerosi stimoli che la nuova musica ucraina, termine che in qualche modo ha cominciato a farsi strada a partire dalla Rivoluzione della dignità, ha messo in gioco come ridefinizione identitaria, culturale e sonora.
Lo facciamo attraverso alcuni videoclip, Dj set, performance live, ma anche con le iniziative audiovisive degli ultimi mesi, alimentate da una militanza sempre più esplicita, capace di coinvolgere in un dialogo orizzontale mainstream e underground. La nostra è una sintesi “redazionale”, con un’attenzione specifica alla musica elettronica, che ci ha condotto a verificare una sorprendente prevalenza di artiste donne.
I Shall sing until my land is free: la politica sonora di Kateryna Zavoloka
Semplicemente identificata come Zavoloka, la geniale musicista elettronica stanziata a Berlino, è nata a Kyiv nel 1981. Con una nutrita discografia introdotta nel 2003 grazie alla Nexsound, ha continuato a collaborare con la seminale etichetta fondata da Andrey Kiritchenko fino al 2006, anno in cui ha cominciato a pubblicare per la Kvitnu di Dmytro Fedorenko, conosciuto in ambito artistico come Kotra. Per la Kivtnu, Zavoloka ha messo in pratica il suo talento anche come graphic designer, curandone la grafica e sviluppando gli artwork dell’etichetta.
Glitch, elettronica di matrice pop, IDM di qualità, il suo lavoro tende più all’introspezione ambient, ma con i piedi ben radicati nella terra d’origine. La caratteristica principale delle sue produzioni musicali è infatti la relazione stessa con il folk “mai sentito” della tradizione ucraina. Un album come Vedana, pubblicato nel 2011, decostruisce alcune canzoni popolari ucraine, atomizzate e rigenerate nel flusso sonoro che scorre sotterraneo come se fosse una falda acquifera. Per i video si affida agli sperimentatori europei più radicali, tra cui Laetitia Morais (Vedana), con cui collabora anche su alcuni set live e l’artista digitale olandese Julius Horsthuis (Polonyna).
Un esempio chiarissimo dello scambio tra tradizione e nuova musica elettronica è Arkan, danza tradizionale degli Hutsuli, gruppo etnico della regione dei Carpazi, usualmente eseguita dagli uomini intorno ad un falò. Zavoloka traduce la qualità sciamanica della danza in un viaggio che combina noise, distorsioni e un pattern percussivo che dal dancefloor passa direttamente all’esperienza psichica.
Zavoloka, come tutta la comunità elettronica ucraina, ha partecipato direttamente e in modo creativo, alla difficile storia politica del paese dal 2013 fino ad oggi. “I shall sing until my land is free” è la frase sovrimpressa sopra i colori della bandiera Ucraina, fissata sui suoi profili ufficiali.
Il video che condividiamo con i nostri lettori è il bellissimo Slavlennya, parola che significa “glorificazione“. Il brano è ispirato alla rivoluzione di Maidan del 2014. Le influenze house e techno, come capita sovente nella produzione della geniale musicista, sono ricondotte verso un flusso più meditativo e letteralmente aggredite con inserti sonori anomali. Qui non è la tradizione folk, ma il suono del reale, field recording vero e proprio documentato sul posto, con i suoni metallici della rivolta per le strade, quelli delle macchine della polizia bruciate, le esplosioni dei gas lacrimogeni e ciò che la stessa Zakolova chiama “la sinfonia delle bombe molotov“.
Zakolova usa anche una frase potente, feroce come tutte le rivoluzioni, per definire questa trasfigurazione della realtà sonora: il napalm libertario della trasformazione
Dmytro Fedorenko: il corpo, la mente, la libertà e la stella corsara
Dmytro Fedorenko, fondatore dell’etichetta ucraina Kvitnu, è meglio conosciuto con il moniker di Kotro. La sua produzione ha fatto da apripista per tutta la scena elettronica ucraina del nuovo millennio. Stanziato a Berlino, ha trasformato l’etichetta in un luogo di convergenza e contaminazioni, a conferma delle caratteristiche liminali di cui parla Maria Sonevytsky nei suoi studi, quando si riferisce alla peculiarità della musica ucraina. Sotto contratto ci sono infatti artisti finlandesi, francesi e italiani, tra cui i notevoli Andrea Belloni e Michelangelo Roberti da Lodi, con il progetto di rock estremo Garaliya.
Disturbante e devoto a quella ricerca del limite sonoro che caratterizza tutte le esperienze situate della musica elettronica che mettono al centro l’alterazione psicofisica, è un artista proteiforme, che si dedica anche al video, alla produzione di pittura astratta e alla fotografia.
Oltre alla produzione registrata come Kotro, manda avanti altri progetti, uno di questi è la band Cluster Lizard. Ed è sull’ultimo lavoro condiviso da Fedorenko insieme a Katerina Zavoloka che ci vorremmo soffermare.
“Star Corsair” è un lavoro di ambizioni spirituali e politiche. Dedicato allo scrittore di fantascienza ucraino dissidente Oles’ Berdnyk, tra coloro che hanno fatto l’esperienza dei campi di concentramento sovietici, è una rilettura di un suo noto romanzo e un vero e proprio omaggio alla sua arte, dal punto di vista di Fedorenko e Zakolova, assolutamente unica nel panorama artistico, spirituale e politico ucraino.
Il centro è lo sviluppo personale e il concetto di libertà inteso secondo coordinate che si riferiscono a quello stesso processo interiore. “Un’incredibile concentrazione di idee potenti – dichiarano Cluster Lizard – sottilmente incorporate sulle spirali multilivello del futuro, modellato e contaminato esso stesso con il passato creato dal mito” In questa lotta tra la decadenza della civiltà e l’esplosione di rivoluzioni impossibili, emerge il fuoco della libertà acceso dai liberi pensatori.
Percorso interiore quindi, sulla scia della sci-fi umanista di Berdnyk, ma anche azione pura, come vettore sonoro e politico per la ricerca della libertà. Musicalmente “Star Corsair” rilegge l’epica del viaggio interstellare con sonorità che cercano una chiara espansione percettiva, connettendosi solo in parte con il patrimonio musicale della musica per il cinema. Le tentazioni ambient in questo senso, vengono disattese in modo fecondo da una tendenza poliritmica che è tipica dell’elettronica ucraina. Una sorta di techno-rave rallentata, con pulsazioni decise ma sottopelle, che da una parte conferiscono alla musica una dimensione cinetica, dall’altra ne decostruiscono gli appigli corporei, trasponendola in una dimensione del tutto psichica.
Il video che condividiamo è realizzato dagli stessi Cluster Lizard con il progetto musicale e grafico Prostir
Poly Chain: Elettronica, singolare femminile
La prevalenza femminile nella scena elettronica ucraina è una caratteristica importante e che non ha molte analogie con quello che accade nel resto dell’Europa, per prassi, attitudine, determinazione e capacità di riconfigurare un contesto a partire da nuove coordinate di genere. Tra i nomi più interessanti degli ultimi anni è necessario citare Sasha Zakrevska, musicista, DJ, curatrice, designer e conduttrice radiofonica di Kyiv. Una dimensione proteiforme che caratterizza gli artisti ucraini a partire dalla strada aperta da Zavoloka nei primi anni del nuovo secolo. Con il moniker Poly Chain, Sasha produce elettronica da Varsavia, dove si è trasferita, ma allo stesso tempo mantiene una connessione stretta con il brodo di coltura dell’elettronica ucraina, stabilendo relazioni importanti tramite i festival che organizza. Sedotta dal suono e dall’architettura dei Synth sin dall’adolescenza, infonde alla sua musica dinamiche che ricordano l’avventura analogica degli anni ottanta, con la quale combina un’estetica lo-fi e l’amore per l’audiocassetta, formato prediletto con cui divulga la propria musica.
Tra i nomi di spicco della rinascita elettronica ucraina dello scorso decennio, è diventata negli anni una delle artiste più visibili e richieste della scena elettronica dell’est Europa. In linea con molte produzioni elettroniche internazionali degli ultimi anni, il suono di Poly Chan, sicuramente evolutosi nel tempo, mantiene radici precise nella rilettura dell’IDM anni novanta. Le influenze sonore del mondo videoludico di qualche decennio fa, sono al centro del bellissimo Kiel, brano tratto dal recente Dogtooth, pubblicato per l’etichetta polacca Dom Trojga.
Katarina Gryvul: reale + virtuale
Il lavoro della giovanissima Katarina Gryvul viene pubblicato da una delle etichette discografiche ucraine più interessanti degli ultimi anni, la Standard Deviation.
Con appena un album alle spalle, la polistrumentista ucraina ha appena pubblicato il nuovo Tysha, interamente sviluppato durante la crisi epidemiologica e registrato su un otto tracce, per confermare una tendenza lo-fi e sperimentale di una parte della musica elettronica che si produce in Ucraina.
Influenzata maggiormente dalla musica elettroacustica e dalla sperimentazione colta del novecento, Gryvul fonde strumenti acustici e analogici con quelli elettronici, tradizioni sonore antiche con decostruzioni tipiche della glitch music. Il dancefloor viene appena sfiorato, per favorire un approccio sensoriale, fatto di improvvisi assalti aurali. Tysha, che in ucraino significa silenzio è anche la title track dell’album, veicolata da un videoclip diretto da Nastassia Kit, fotografa di stanza a Cracovia. Il video, come il brano, è una lotta furibonda tra il silenzio e il rumore, la tradizione e la decostruzione, il corpo naturato e la possessione innestata dal mondo tecnologico.
Diana Azzuz, tempo e spazio digitali: modulazioni identitarie
La musica di Diana Azzuz è un’esperienza contagiosa e difficile da dimenticare. Vero e proprio assalto sonico, nasce da una dimensione pluridisciplinare tra immagine e suono, per diventare una delle produzioni più belle uscite dalla Standard Deviation.
Padre siriano e madre ucraina, dopo aver lavorato ad un progetto audiovisivo condiviso con Rina Priduvalova (Sui Noxa), realizza il bellissimo Anastrophe, vero e proprio debutto solista sempre su SD. Il territorio di indagine non è così distante da quello di Gryvul e con forme e scelte molto diverse, converge sul concetto di trasformazione identitaria all’interno di un’idea di realtà che può essere concepita solo come intersezione tra istanze tecnologiche e dimensione sociale condivisa.
Anastrophe è un ibrido affascinante tra techno hardcore, grime urbana e forme dubstep più sotterranee. Nasce come ulteriore espressione di una sconnessione tra identità e radici, che per Diana sono irrimediabilmente legate a due teatri di guerra; questi in qualche modo hanno modificato il suo percorso di formazione, oltre alla relazione con la famiglia, divisa tra i due paesi.
In questo senso la sua analisi del virtuale è un concetto che parte dalle possibili modulazioni identitarie che associamo all’apprendimento progressivo dell’intelligenza artificiale, ormai simile alla nostra capacità di adattamento a varie situazioni, ai diversi dispositivi che utilizziamo e alle modalità eterogenee di interrelazione che questi attivano. Flessibilità, fluidità, sono quindi la conseguenza di questa analisi socioculturale. La vita apolide di Diana, contribuisce quindi a formare un concetto ed una musica che supera i confini di genere in termini sonori e sociali.
Il video che veicola il primo album solista di Diana Azzuz è “Recursive Gesture“
DZ’OB: decostruire i classici
Vengono da Dnipro. Sono una band di strumentisti formidabili che rileggono il repertorio della tradizione classica, da Shostakovich ad Haydn, alla luce dell’IDM degli anni novanta, quella di artisti come Squarepusher e Aphex Twin. La strumentazione che utilizzano comprende oboe, fagotto, violino, violoncello e devices elettronici. Alla fine, la loro collocazione nel contesto festivaliero è quella della musica Jazz, perché nel recuperare alcune istanze della musica elettronica di trent’anni fa, che già dialogava con una specifica decostruzione delle architetture Jazz, riconducono alcune di quelle intuizioni nella casa di origine. La loro produzione dimostra il dialogo avanzato che si svolge in Ucraina tra musica di consumo e ambito accademico, nuove e vecchie propaggini della musica elettronica, con ensamble che si riferiscono alla tradizione popolare dell’est Europa, dal folk al Jazz.
DZ’OB sono Vasiliy Starshinov (oboe) Sergei Belokon (clarinetto) Alexey Starshinov (fagotto) Ekaterina Kolyada (violino) Irina Lee (viola) Alex Badin (violoncello) Max Andruh (batteria, elettronica)
Ethiopian è un videoclip di quattro anni fa, diretto da Nikita Liskov, pittore di Dnipro che a poco a poco si è avvicinato all’animazione, riducendo al minimo gli interventi digitali ed elaborando uno stile che recupera molti elementi, dall’optical art, all’animazione Jazz, fino a forme astratte che si rifanno alla ricca scuola d’animazione dell’est.
Ptakh Jung: crossover
Il duo costituito da Anton Dehtiariov e Volodymyr Babushkin è tra le cose più belle uscite dall’Ucraina in questi ultimi anni. Artefici di un’elettronica contaminatissima, si auto-collocano tra gli autori di “colonne sonore immaginarie“, un genere che in qualche modo dialoga certamente con il loro mondo di riferimento, ma anche con tutta la storia della musica rock strumentale, dal post rock in reverse.
Black Period, album pubblicato nel 2018 segue un EP pubblicato lo stesso anno e ha letteralmente sfondato i confini regionali, con un’attenzione di qualità ricevuta negli states. Il talento del duo, proviene in realtà da un’esperienza capillare nel mondo dello spettacolo, tra cui la scrittura di musica per il teatro, per le arti performative e almeno una decina di colonne sonore effettive scritte per il cinema. Una delle più note è quella composta per “No obvious signs“, diretto da Alina Gorlova, tra i nomi più promettenti del cinema ucraino contemporaneo. La rimusicazione di film muti è tra le altre attività extra discografiche di Ptakh Jung, che collaborano con un’istituzione come il centro Dovzhenko, la più grande realtà legata alla conservazione del patrimonio cinematografico ucraino.
L’ultima uscita del duo è il singolo intitolato Dnipro, bellissima incursione jazz che conferma il talento combinatorio di un duo capace di riportare ad alti livelli comunicativi la commistione di elettronica, rock e altre forme.
Il video che condividiamo invece, è tratto da Black Period e si intitola Monika, un vero e proprio cortometraggio diretto da Anton Som. Un video straordinario per la capacità di dialogare visualmente con i pattern ritmici, attraverso i suoni diegetici che diventano parte del brano stesso. Oltre a questo è un esempio fulgido del crossover creativo di Ptakh Jung, dove all’interno entra di tutto senza che la coesione venga compromessa. I nuovi Chemical Brothers?
Probass ∆ Hardi + Miss K8: dancefloor, radici e militanza
Più ascrivibili alle intuizioni dell’Ukrainian Electronica, ma meno espliciti nel combinare elettronica con elementi folk rispetto a Vakula oppure a Sider (il fondatore di Deepflat Kyiv), Probass & Hardi sono rispettivamente Artem Tkachenko e Maxim Mokrenko, Dj che si sono fatti le ossa nei club della loro città d’origine, Kremenchuk.
Techno bass da pista, fusa con elementi della tradizione ucraina che puntano esplicitamente alla costruzione di anthem da ballo. Una forma “popular” assolutamente contagiosa che ha avuto anche risultati coesivi in termini identitari, basta pensare al singolo di Good evening, we are from Ukraine! tormentone radiofonico che è già diventato la colonna sonora della guerra, rilanciato viralmente anche sui video tiktok al centro del conflitto, nell’avvitamento tra reale e virtuale a cui abbiamo assistito per la prima volta durante una guerra in corso.
Nastane Den (НАСТАНЕ ДЕНЬ), ovvero Il giorno verrà, cantato da Ana Bulat è uno degli ultimi brani diffusi dal duo ed è veicolato da due videoclip realizzati con il found footage bellico di questi mesi. Un’operazione diversa rispetto alla commistione tra finzione e città distrutte nel video di Kalush Orchestra, la band ucraina che ha vinto l’Eurofestival 2022, ma che veicola lo stesso messaggio, cercando una connessione diretta con il popolo ucraino massacrato dall’invasore russo.
Il video è soggetto ai limiti di età imposti da youtube, noi lo incorporiamo, ma per vederlo è necessario essere connessi con un proprio profilo.
Kateryna Kremko, conosciuta come Miss K8, è una Dj di Kyiv tra le più richieste a livello internazionale. Definita “the goddess of hardcore“, produce un sound violentissimo, tanto da esser rientrata nella top 100 di Dj Mag. Con un vero e proprio martello high tempo, esprime la dimensione più istintuale e potente della techno. Ospite fissa di Masters of Hardcore, la kermesse legata alla nota etichetta olandese, ci è tornata un mese fa, regalando al suo pubblico un’intro dedicata al suo paese
Nastia: clubbing queen
Anastasia Topolskaia, in arte Nastia, è probabilmente la Dj più influente del clubbing ucraino e una delle più importanti artiste elettroniche contemporanee. Legata alle attività del Closer di Kyiv, uno dei club più importanti di tutta Europa, si esibisce praticamente ovunque, grazie ad uno stile inconfondibile e raffinatissimo, che riesce a mettere insieme influenze minimal, house, funk con un gusto tutto europeo del suono techno.
Nastia cura moltissimo anche l’immagine, creando connessioni creative con stilisti e brand di alto livello, tra cui gli ucraini Masha Reva e Anna October. Il suo percorso può essere sintetizzato a partire dalle prime residence del 2006 fino alla fondazione di Propaganda, una label discografica che pubblica esclusivamente in vinile. L’etichetta ha una vocazione assolutamente apolide, tant’è aggrega artisti dalla Spagna (Orbe), ovviamente dall’Ucraina (il designer e producer Gera Taraman), dalla Russia (Andrey Zots), dall’Italia (i producer Giovanni Verrina e Germano Ventura).
Mentre vi consigliamo di godervi il set di Nastia filmato al Palazzo dei principi di Sangushko ad Izjaslav, per la serie Scary Beautiful, prodotta da Ballantine’s e realizzata in bellissime location ucraine durante gli anni della crisi epidemiologica, vi proponiamo un vecchio estratto da Maslo EP, pubblicato nel 2013 da Nastia e veicolato da un bellissimo video visual diretto da Dasha Redkina
I’m a Dj: Suoni femminili
Nastia ha in qualche modo spianato la strada a numerose Dj donne che stanno emergendo nella scena elettronica ucraina, tra queste possiamo citare Daria Kolosova, protégé della stessa Nastia; la straordinaria Jana Woodstock, il cui suono sfiora radicali influenze industrial, Vera Logdanidi, orientata al recupero di sonorità jungle e drum and bass; Yana Ponura, ancora conosciuta solo in Ucraina e legata a sonorità IDM e breakbeat; Nastya Muravyova, ex assistente di volo, è una dj molto richiesta a Kyiv, con alcuni set fuori confine, punta alle sonorità electro e EBM; Nastya Flur aka Noisynth è una DJ di Donetsk, inizialmente conosciuta con il nome d’arte di Stacie Flür, fa convergere nei suoi set numerose influenze, dall’industrial all’ambient, dall’IDM alla techno, con un approccio non convenzionale; Olesya Onikienko aka NFNR, ha fondato una piattaforma interessantissima chiamata Womens Sound, dedicata al supporto delle lavoratrici femminili nell’ambito della musica elettronica. Con lo pseudonimo di NFR suona ambient, techno sperimentale, noise, drone music. La sua è un’attività proteiforme che non può essere indagata in poche righe, ma che spazia dall’esperienza laboratoriale in ambito artistico, alla ricerca del patrimonio folk, fino ad altre intersezioni socioculturali. Nastya Vogan è un nome di cui potremmo sentir parlare a lungo, perché se la sua esperienza come Dj è circoscritta alla città di Kyiv, con set che spaziano dalla dimensione più meditativa a quella incendiaria da dancefloor, i suoi studi di composizione in ambito accademico, l’hanno portata ad essere parte integrante del progetto Cyclones Slowly Rose, incursione elettroacustica che combina set elettronici con l’inclusione di elementi acustici, tra cui l’impiego di un ensemble di archi.
Il set di Jana Woodstock al Closer di Kyiev
Ban Russia: una lettera aperta della scena elettronica ucraina
Lo scorso marzo, una rappresentanza di 58 realtà, tra etichette, artisti, clubs, festival, tutti attivi nell’ambito della musica elettronica Ucraina, ha firmato una lettera collettiva per boicottare la cooperazione con qualsiasi artista, promozione e organizzazione russa, che non si schieri apertamente contro l’aggressione di Vladimir Putin. Quello che chiedono è
- l’annullamento di ogni cooperazione con artisti, promoter, club e organizzazione russa che non si opponga attivamente alle azioni del proprio governo e non intraprenda esplicitamente azioni per fermare l’invasione militare russa dell’Ucraina
- Pretendere che ogni cittadino della Federazione Russa scenda in piazza per protestare contro la guerra in Ucraina, o resista silenziosamente boicottando il proprio lavoro e sabotando la Russia in ogni altro modo possibile
- Rimuovere tutti i rappresentanti affiliati allo stato russo dai comitati di supervisione e consulenza delle organizzazioni a cui si riferisce la lettera
- Rifiutare qualsiasi donazione, finanziamento o sponsorizzazione da parte di organizzazioni russe e loro affiliate con sede in altri paesi.
Unitamente a questa iniziativa, la Standard Deviation, etichetta di cui abbiamo parlato in questo articolo, presente tra i 58 firmatari della lettera, ha realizzato una compilation insieme a Mystictrax, label e laboratorio sonoro di Chernobyl, intitolata “Together for Ukraine” e diffusa a partire dallo scorso 5 marzo 2022. Costituita da 65 tracce composte da musicisti ucraini e internazionali, è in vendita da questa parte, e il ricavato sarà devoluto alle seguenti associazioni
- The ‘Return Alive’ Fund, per supportare il fronte della resistenza Ucraina
- L’account della Banca Nazionale Ucraina per l’assistenza umanitaria
- ‘Ukraine Pride’ Fund per sostenere i soldatie e le persone LGBTQIA+ colpite dalla guerra
- ‘Голос Дітей’ Fund, in supporto dei bambini colpiti dalla guerra
(foto dell’articolo di Mark Angelo Sampan da Pexels )