lunedì, Dicembre 23, 2024

Una canzone per Karen: Karen Carpenter e la breccia nell’acquario televisivo

Karen, vorrei chiederti chi erano i tuoi modelli di riferimento? Forse tua madre? Quali libri preferivi leggere? Qualcuno ti ha mai chiesto cosa significava essere una ragazza nel mondo della musica? Che tipo di sogni avevi? Frequentavi amici oppure eravate solo tu, tuo fratello Richard, mamma, papà e la A&M Records? Hai mai corso sulla sabbia per sentire l’oceano scorrere tra le gambe? Chi è Karen Carpenter in realtà, oltre alla ragazza triste con una voce incredibilmente bella e piena di sentimento?

Una tua fan, con amore.
Kim.

 

La pressione e il controllo sul corpo delle donne inferto dalla cultura pop, diventa immagine incarnata nella persona pubblica di Karen Carpenter. Non è nota la data in cui Kim Gordon scrive, da fan sincera, la lettera di cui abbiamo citato un estratto.  Indirizzata alla nota interprete statunitense, non è possibile sapere a quale momento della carriera dei Carpenters si riferisca; ne conosciamo solo il contenuto integrale grazie alla pubblicazione successiva all’interno della quasi auto-biografia dedicata alla band di Ranaldo, Gordon, Moore e Shelley, uscita nel 2008 con il titolo di “Sonic Youth: Sensational Fix”.

Prima ancora di pensare a “Tunic (Song for Karen)”, il brano inserito nella tracklist di Goo, l’album del 1990 che introduce la carriera della band americana nel mondo delle major, Kim assiste alla progressiva nullificazione dell’immagine corporea di Karen insieme ad altri milioni di americani. La cantante di New Haven, a dispetto delle convenzioni iconiche legate al facile ascolto, restituisce allo specchio scuro televisivo, il riflesso strappato dal proprio, comunicando agli spettatori l’essenza scabrosa di quell’oblio trasmesso ogni giorno in modalità passiva. 

L’anoressia nervosa comincia ad occupare un ruolo centrale nella narrazione massmediatica solo a partire dagli anni ottanta; mentre Sam O’Steen, geniale e fedele montatore per Mike Nichols, dirige nel 1981 per la rete ABC il suo penultimo film come regista, “The Best Little Girl in the World”, Karen Carpenter è ancora viva e le metafiction decostruzioniste di Todd Haynes (Superstar: The Karen Carpenter Story) e Jane C. Wagner (Tom’s Flesh) sono ancora lontane. 

Ecco perché la prima immagine “non ufficiale” e terribile del disturbo alimentare appare con il fantasma televisivo della Carpenter che ne divora lentamente la sostanza. Dal concerto del 1975 a Las Vegas, dove Karen sviene durante l’esecuzione di “Top of the world”, l’artista americana prende in ostaggio il proprio corpo e lo nega contro la cornice ipervisibile per cui è stato concepito, offrendosi ad un vero e proprio martirologio catodico. 

Prima ancora che il dibattito sulla classificazione dell’anoressia nervosa si divida tra la definizione di “malattia” e l’identificazione come sintomo genderizzato e generato da aspettative culturali dominanti,  Karen Carpenter svela la presenza di un’incrinatura nell’acquario televisivo, restituendoci il riverbero a circuito chiuso di quel narcisismo mortifero che arriverà sino ad oggi, attraverso la moltiplicazione degli schermi

Non una sola nuvola nel cielo, ho il sole negli occhi e non mi sorprenderò se è tutto un sogno” (Top of the World, The Carpenters)

Potere allo stato puro, questa la televisione secondo un’anti-definizione di Jean-Luc Godard, pronunciata nel 1983 durante una delle formidabili interviste curate dal compianto Gideon Bachmann. Il regista francese si sofferma sulla frizione tra Cinema e Televisione. Il motivo per cui il primo funzionerebbe ancora nei palinsesti della seconda è perché “la televisione non contiene alcuna forma dell’amore” mentre il Cinema è “l’amore, l’incontro, l’amore per se stessi e per la vita […] e non è un caso che lo schermo bianco sia come una tela“.

L’occhio vitreo del vecchio catodo genera quindi impotenza e cecità, nega l’avvicinamento ai corpi, attraverso l’illusione del qui e ora e la simulazione della prossimità. Il corpo collettivo sollecitato dai totalitarismi del diciannovesimo e del ventesimo secolo, quello che sostituisce pensiero e corpo individuale, passa senza stragi apparenti ai fantasmi dell’immagine televisiva e alla progressiva derealizzazione del mondo. 

Dove risiede/va Karen Carpenter ? ci siamo chiesti durante l’anniversario della sua scomparsa, evento cruciale proprio quando in Italia si accende la sbornia sanremese.

Ottobre 1981, BBC

Siamo arrivati ad essere fino a 32 persone in viaggio. Davvero una crew numerosa. In questo ambiente si tende a viaggiare con le stesse persone, incontrare le stesse persone, frequentare le stesse persone. Sono l’unica donna, ad eccezione della mia parrucchiera, non è facile avere trenta fratelli al seguito. Tutti, incluso il management, estremamente protettivi. Davvero non è possibile incontrare nessun altro” 

Il minuto 2:31 dell’intervista concessa da Richard e Karen a Nationwide nel 1981 segna una brusca interruzione del segnale, con alcuni slacci sul nastro di lavoro. La voce fuori onda del fratello della Carpenter coincide con il taglio: “Non credo sia il caso di parlare della perdita di peso, penso sia meglio passare oltre“.

Il video d “Tunic (Song for Karen) diretto nel 1991 dal grande Tony Oursler per i Sonic Youth sembra recuperare questa improvvisa cesura dopo i primi 30 secondi della clip. Kim Gordon gioca in una stanza da letto, bimba mai cresciuta insieme ai suoi peluche, quando i disturbi elettromagnetici corrompono l’immagine. La ritroviamo al centro di questa cornice, come icona deviata della Baby Doll di Elia Kazan, distesa su un letto dalle linee prospettiche espressioniste. Tra gli oggetti un’immagine promozionale di  “I Won’t Last a Day Without You“, brano scritto da Paul Williams e inciso nel 1974 dai Carpenters. Il testo, come accade per buona parte del repertorio di Karen e del fratello, dischiude una metanarrazione dalle tragiche connotazioni: “Giorno dopo giorno, devo affrontare un mondo di sconosciuti a cui non appartengo, non sono cosi forte“.

Le teste di Lee, Thurston e Steve, sovrimpresse con un rozzo effetto keying, delimitano la cornice televisiva chiudendo l’immagine di Kim in un mondo fatto di oggetti provenienti dall’infanzia e ritagli di giornali. Nel contrasto tra la tattilità dei mixed media e l’elaborazione elettronica dell’immagine, caratteristiche che definiscono l’arte di Oursler come un luogo di transito tra il corpo e la sua dislocazione (si veda il più recente “Where are we now?” per David Bowie), la testa di Kim /Karen viene inserita nel corpo di una bambola dentro una casa giocattolo adatta a quelle dimensioni. Si tratta di una cornice teatrale e performativa che diventerà frequente nelle installazioni dell’artista statunitense, come studio del volto umano deformato e “forzato” in uno spazio di convergenza digitale. 

La televisione e adesso Internet – raccontava Oursler al New York Times in un’intervista di diciotto anni fa – è lo stesso per me. Sono affascinato dal modo in cui sperimentiamo una sorta di trance attraverso le tecnologie sottese da questi media, immergendoci in essi così da poter sperimentare qualcosa che non riusciamo ad affrontare nella vita reale. Per ballare con il diavolo

Sonic Youth – Tunic (Song For Karen) – Dir: Tony Oursler

Il deperimento della Carpenter viene mostrato mediante la sovrimpressione del volto della Gordon con il teschio di un pupazzo animato in modo primitivo; uno dei tanti innesti con cui Oursler frammenta la percezione, tra interferenze, ripetizioni e sdoppiamenti. In questo caso non cede alla scorciatoia della mutazione prostetica, per creare la deviazione di un’immagine nell’altra, lasciando aperte le differenze, i vuoti e il passaggio. 
La materia è quella del magma mediatico che comprende anche il degradamento dell’immagine stessa, una delle tante possibilità collocata allo stesso livello delle altre.

Karen Carpenter ci guarda ancora da quel talk show del 1981 e riesce a rivelarci, tra presenza e assenza, i confini di una schizofrenia in cui siamo irrimediabilmente immersi. 

“La tua chitarra, suona cosi dolce e chiara
Ma non sei realmente qui, è solamente la radio”
(The Carpenters, Superstar)

 

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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