UPM – Unità di Produzione Musicale è sicuramente uno dei progetti musicali e di documentazione audiovisiva più ambiziosi concepiti in Italia negli ultimi anni. L’idea di Enrico Gabrielli e Sergio Giusti era quella di radunare 72 musicisti operai, suddivisi in dodici squadre, in una fabbrica in cui avrebbero dovuto produrre musica, in una turnazione continua di venti minuti, supervisionata da appositi capireparto, articolata in composizione, esecuzione e pausa; il tutto per otto ore salvo intervallo pranzo a mensa.
Una giornata di lavoro, tenutasi in segreto e senza pubblico il 22 settembre 2013, documentata e filmata da tre registi e una decina di direttori della fotografia il cui resoconto, dopo un immane lavoro di montaggio e mixaggio sonoro, è stato finalmente reso pubblico sabato 13 giugno al cinema Arlecchino di Bologna. L’intento concettuale era del tutto evidente: dimostrare che la musica e la produzione di “materiale artistico” è anch’essa – ed in primis – lavoro, nel quale il principio è, secondo il modello di stampo fordista, la catena di montaggio (talune squadre eseguono ciò che in precedenza altre hanno composto) e, secondo il modello socialista, la parità fra gli individui (ciascuno, capisquadra a parte, indossa una tuta da lavoro ed è identificato e richiamato unicamente con una lettera e un numero).
Dal punto di vista audiovisivo, ma precisando che non abbiamo visto il risultato, il progetto poteva suggerire un’ardita unione tra lo sguardo “politico” di Frederick Wiseman e quello “estetico” (un’osservazione di un flusso continuo ed iterativo di eventi, come in Arca russa) di Aleksandr Sokurov.
Unità di Sonorizzazione, inscenata nello scenario postindustriale, estremamente azzeccato, della Stazione Leopolda di Firenze per una serata allestita lo scorso 17 maggio in occasione di Fabbrica Europa, nasce invece con una fondamentale differenza: l’introduzione di un cinema espanso e immersivo allestito per una fruizione a 360 gradi da parte del pubblico. Nel ridotto numero di 24 nella performance fiorentina, molti fra i quali molti non hanno preso parte ad UPM, gli operai sono qui chiamati a comporre per soli 7 minuti, dinanzi alla proiezione di immagini della più varia estrazione e ideate ciascuno da un diverso regista (il ventaglio abbraccia dal cortometraggio al documentario al più surreale montaggio all’immagine pressoché fissa), e, in seguito, ad eseguire la composizione altrui dinanzi alla proiezione, il tutto per due ore di “spettacolo”, anche qui a turnazione fissa.
L’utilizzo delle virgolette è, mai come in questo caso, obbligatorio, perché ciò che è risultato immediatamente evidente è stato l’intento antispettacolare del progetto “sonorizzazione”. Se, da un lato, l’aspetto performativo aveva certamente maggior peso a scapito dell’approccio “ideologico” di tutta la faccenda, a causa dell’inevitabile vincolo costituito dalla presenza delle immagini proiettate, dall’altro, l’ingresso dell’elemento “estraneo” costituito dal pubblico non influisce pressoché in alcun modo né sul “progettare la musica” né sull’eseguirla, il che, in ambito indipendente italiano e non solo, è circostanza abbastanza scioccante.
Ma tutto ciò genera tutt’altro che un’operazione fredda e distaccata, in quanto lo spettatore, lasciato libero di aggirarsi tra gli esecutori, in modo da poter sbirciare spartiti, strumenti e prassi esecutive, viene condotto a godere dell’esperienza musicale e audiovisiva in un unicum del quale può scegliere la componente su cui fissare il proprio sguardo e/o le proprie orecchie: pertanto, molto di più dell’esperienza di un concerto o di quella visiva di una proiezione tradizionale.
Di concerto (ma non asservite) alle immagini, le musiche composte sul momento vivono i momenti più vari, da crescendo progressivi a singoli gesti sonori alla cacofonia vera e propria, nei quali il grado di aleatorietà è spesso impresso sullo spartito ma messo in pratica nell’esecuzione meno di quanto ci si aspetterebbe: in altri termini, sembra che spesso abbia la meglio una evidente complicità, fortunatamente lontanissima da forme di individualismo, tra musicisti che, seppure in squadre separate, tra loro si conoscono bene (e tante sono le facce più o meno note della “scena” nostrana che si sono prestate all’esperimento e che non nascondo nemmeno di divertirsi parecchio).
Intelligente ed affascinante, Unità di Sonorizzazione si è rivelata una riuscita contaminazione fra i concetti di composizione, sonorizzazione ed improvvisazione, nonché un modo originale di concepire il rapporto tra musica ed immagini e, non ultimo, quello di produzione di musica per le immagini; e apre la strada a mille possibili derivazioni ulteriori, quali la riproposizione della formula in diversi spazi (una nuova “musica per ambienti”?) ovvero l’accostamento transmediale ad altre forme d’arte, pittura, danza o quali che esse siano.
UPm- Unità di produzione musicale – Teaser #2 da ENECEfilm su Vimeo.