venerdì, Novembre 22, 2024

Veronica & The Red Wine Serenaders – The Mexican Dress: la recensione

Tu vuò fa l’americano”, cantava Renato Carosone nel 1956, ironizzando su chi pur vivendo in Italia cercava di copiare lo stile di vita statunitense. Nel 2014 dalle nostre parti c’è ancora chi si ispira all’America, ma dal punto di vista musicale, e lo fa benissimo, riuscendo a proporre suoni che sembrano arrivare direttamente da oltreoceano. È il caso di Veronica Sbergia, Max De Bernardi e Dario Polerani (subentrato ad Alessandra Cecala proprio in occasione del nuovo disco), noti al mondo come Veronica & The Red Wine Serenaders, che con questo The Mexican Dress arrivano alla quinta uscita discografica (sotto vari nomi e non con tutti i musicisti coinvolti) nel breve volgere di sei anni di attività.
La loro America non è però quella di oggi, ma quella degli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, a cavallo della Grande Depressione. Ci si trova quindi ad ascoltare ciò che andava per la maggiore in quegli anni: il blues, naturalmente, ma anche lo swing, il jazz, il vaudeville, l’hokum e ballate country folk, alternando cover di brani tradizionali o di autori di quel periodo ad altri che sono invece frutto della bravura e della perizia filologica di Veronica e Max, senza praticamente accorgersi delle differenze tra gli uni e gli altri.
Esempi di questo possono essere The Resurrection of the Honey Badger, strumentale a firma De Bernardi in cui la sua chitarra tesse trame degne di un John Fahey o di un Blind Blake e Crying Time, ballad perfetta per un fumoso locale chicagoano ai tempi del proibizionismo con un’ottima prestazione vocale di Veronica, specie sui registri alti.
Sul versante cover possiamo invece segnalare Dope Head Blues (in origine di Victoria Spivey), con ancora grandi cose fatte dalla chitarra di Max e la voce della Sbergia che gioca invece con registri più bassi, e il traditional Paul And Silas, dove invece si mescolano bluegrass e gospel.
Il nostro consiglio è dunque quello di procurarvi questo disco, per capire che l’America può essere vicina e che possono esserlo anche altre epoche, e che questi salti spazio-temporali possono portare a passare un’ora di pura beatitudine musicale. Poi recuperate anche i dischi precedenti di questo combo, giusto per far continuare il viaggio ancora un po’.

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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