Quarto degli otto episodi che Stefano Poletti ha girato a Los Angeles per raccontare la sua professione. Secondo in esclusiva su indie-eye dopo la puntata ambientata a Seattle.
Uno dei videomaker più noti e talentuosi del nostro paese abbandona le tentazioni tutorialistiche che abbondano in rete e ci propone una visione dall’interno e sul campo di un mestiere complesso e fatto di sinegie. Format veloce, divertente e anche visionario, lo ospitiamo volentieri per tre volte
Insieme agli episodi un’intervista che proporremo tripartita. Con il quarto episodio, in calce, la seconda parte della nostra conversazione.
Videomaker Around the world, ep. 4 in esclusiva lancio su indie-eye
Stefano Poletti, l’intevista in esclusiva (seconda parte…)
Tu hai vissuto il passaggio dall’ultimo colpo di coda delle televisioni tematiche alla crescita esponenziale delle piattaforme web di condivisione. Quando hai girato “Charlie fa surf” per i Baustelle, youtube aveva tre anni e i video circolavano ancora su MTV. Come hai vissuto il passaggio, in termini produttivi, creativi e anche a livello di diffusione e visibilità dei tuoi lavori?
Con l’avvento di youtube e la conseguente chiusura delle TV tematiche c’è stato sicuramente un abbassamento dei budget a disposizione, c’è però stato un boom nella “richiesta”. Mentre una volta solo gli artisti che avevano la possibilità di un passaggio televisivo realizzavano un videoclip adesso qualsiasi band, anche con poche possibilità economiche, lo realizza per metterlo su Youtube. Il risultato è stato sicuramente un abbassamento della qualità, però ne ha guadagnato la creatività. Mi capita infatti (ogni tanto) di vedere videoclip di videomaker giovani, molto creativi e con idee estetiche molto interessanti, fatti veramente con pochissimo budget.
L’ipertrofia della rete: troppe immagini, spesso di bassa qualità, con l’illusione dei contenuti generati dall’utente. Dal nostro punto di vista è un’illusione appunto, perché raramente genera un rapporto proficuo e biunivoco con il mercato e con i committenti, sbilanciando la promozione dalla parte del marketing più spicciolo senza più la libertà del creare. Tu cosa ne pensi?
Non sono così “catastrofista”. Se parliamo di pubblicità e videoclip musicali, stiamo comunque parlando di prodotti a fini commerciali, che vendono qualcosa, che sia un prodotto od una canzone. Se uno sta al gioco deve sapere che il committente ha sempre ragione. Personalmente cerco comunque di tenere una mia “autorialità” e di accettare lavori dove ho comunque l’ultima parola, ma non sempre è possibile.
Per Nek hai girato “se non ami” in Pellicola, il tuo ultimo realizzato in quel formato. Un mondo lontanissimo rispetto alla velocissima evoluzione del digitale. Che ricordi hai di quell’esperienza, anche in termini di “responsabilità” rispetto all’immagine pensata e poi realizzata.
C’è da dirlo…. Girare in pellicola è magico! Non si può certo improvvisare. Si ha veramente la sensazione di riprendere qualcosa di irripetibile. Non potendo rigirare una scena all’infinito, la direzione di tutti i compartimenti deve essere perfetta. Consiglio ad ogni regista di provare a girare in pellicola almeno una volta nella vita, come un direttore d’orchestra durante un concerto, non sono ammessi sbagli.
Puoi raccontarci come lavori con gli artisti, senza tenere conto delle differenze ovviamente, ma solo del tuo personale metodo; interagisci, accetti stimoli esterni oppure proponi un progetto “as is”?
Ho la fortuna di lavorare spesso con persone che mi stimano e che si fidano ciecamente, insomma che mi danno “carta bianca” sulle decisioni creative. So però anche come far venir fuori il mio stile anche quando ho un committente per cui devo realizzare un’idea già pensata da altri. La bravura di un regista sta anche in questo.
Non c’è un tuo video che sia identico ad un altro, ma nella varietà di stile, tecnica e approccio, ci sembra che ci siano alcune scelte specifiche e riconoscibili. Una di queste è il modo in cui utilizzi lo studio e il green screen, mai limitandoti alla performance, ma popolando lo spazio di fantasmi, apparizioni, altri mondi. Pensiamo a due video distanti ma molto simili per certi versi, ovvero il già citato “Charlie fa surf” e il bellissimo video realizzato per Simona Gretchen “Everted part II”. Che cosa ne pensi e ci racconti in sintesi il lavoro sul secondo dei due video?
Non penso mai al videoclip come ad un cortometraggio o a raccontare una “storia”. Per me il linguaggio è più vicino a quello della Videoarte. Quando ascolto un brano che mi viene proposto, infatti, tendo più ad immaginarmi un atmosfera, un “mood” che una storia causa-effetto.
Ecco perché mi piace sperimentare vari stili di regia diversi. Ho infatti fatto video con vari stili: piano sequenza, con attrezzature particolari, in green screen, a passo uno , in animazione, etc. Girare in green screen mi da molta soddisfazione. Avere del materiale su cui lavorare come si lavora ad una “tela vuota” stimola molto il mio processo creativo. Sia per i Baustelle che per Simona Gretchen ciò che mi ha ispirato sono state per l’appunto le sensazioni visive ed estetiche che mi evocava l’ascolto della canzone.
Anche quando usi l’elettronica ci sembra che il tuo sia un approccio molto corporeo. Fantasmi o non fantasmi c’è sempre una lotta o uno scontro tra più piani di realtà, oppure una prossimità molto forte, come nel video di “Ilenia” per gli Zen Circus, semplice e potentissimo….
Penso che “ilenia” sia un video molto onirico (infatti me lo sono sognato), l’uso delle focali ed i movimenti di camera volevano infatti ricondurre “al sogno”
Qual è il video più difficile e faticoso che hai realizzato?
Il video più difficile è stato quello per i Pan Del Diavolo “pertanto”. Un piano sequenza in reverse. In cui tutte le cose sono andate infatti per il verso sbagliato. Abbiamo fatto solo due Take, che erano quelli di prova, poi il cantante si è rotto il naso nello “spaccare” la chitarra e abbiamo dovuto interrompere. Quello che poi è diventato il “video ufficiale” è infatti il take incriminato.
Quali consigli daresti ai videomaker del futuro; come orientarsi nell’indistinzione della rete; la qualità è ancora un punto fermo da cui partire?
Per un videomaker che si approccia al videoclip, consiglio di puntare sulla creatività e sullo stile. Anche con poco budget si può fare un prodotto semplice ma impattante. Mantenendo un animo visionario si possono fare grandi cose.
il tuo format fino a dove si spingerà; racconterai nello specifico le giornate di produzione?
Il mio format coprirà tutto il viaggio che ho fatto a Los Angeles con anche un backstage del set durante le mie giornate di produzione. E’ un format che vorrei ripetere per i miei lavori futuri più significativi.