domenica, Novembre 24, 2024

Wallis Bird – Architect: la recensione

Quando incontrammo Wallis Bird al Rock En Seine era il 2010 e la allora ventottenne irlandese (da Enniscorthy, terra di whisky) stava promuovendo il suo secondo album, New Boots, il disco grazie al quale iniziava ad ottenere qualche soddisfazione di vendita e di critica, grazie a uno stile piuttosto variegato e a una scrittura pop di buon livello. Nell’opera seguente, chiamata non a caso Wallis Bird, si notava un’evoluzione in senso personale sia del suono che dei testi, con meno solarità rispetto agli esordi ma ancor più qualità.

Ora, con questo nuovo Architect, il cammino lungo questa strada prosegue con risultati davvero ottimi. Il pop di Wallis oggi è qualcosa di poco definibile, con sprazzi di elettronica usata in senso più (Hardly Hardly) o meno ritmico (I Can Be Your Man), virtuosismo chitarristico portato lontano dai territori dei guitar hero grazie a scelte assai eleganti in sede di arrangiamento, un mood generale abbastanza dark ma in grado di aprirsi alla luce quando meno ce lo si aspetta (Communion) e in generale un livello di scrittura e di scelte melodiche di livello, il tutto mantenendo un equilibrio e una grazia di fondo encomiabile, con l’eccezione forse di Gloria, dove un po’ si esagera e si va a finire quasi in territori balkan beat.

Il meglio lo si trova però negli ultimi due brani, dove emerge la parte più intimista e blues dell’anima e della musica di Wallis: Hammering sono cinque minuti in cui c’è un po’ di tutto, rumori di fondo, beat glitch, la chitarra che disegna scampoli di melodia, ma dove emerge soprattutto la voce, in grado di comunicare tantissimo con passaggi jopliniani, mentre River Of Paper è più minimale, voce e chitarra per un brano folk semplicemente bellissimo.

Se cercate un disco pop lontano dai soliti cliché e in grado di aprirvi mondi sonori inaspettati, Architect è dunque quello che fa per voi. E probabilmente lo saranno tutti i prossimi di Wallis Bird, perché da qui può andare veramente ovunque. Noi la seguiremo sicuramente, c’è da fidarsi.

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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