Terza prova sulla lunga distanza per i Wolf People, che con Fain sembrano portare a pieno compimento la loro idea di rock psichedelico, questa prende vita dalle suggestioni folk britanniche che furono di Pentangle e Fairport Convention negli anni Settanta e va poi a crescere con carichi heavy altrettanto settantiani, dai risvolti abbastanza oscuri e misticheggianti, sulle orme di quanto fatto in quegli anni dai Led Zeppelin e in questi da Black Mountain e Black Angels tra gli altri. Rispetto alle prove precedenti il gruppo sembra puntare più al sodo e a un’idea musicale personale e definita, rinunciando da un lato alle incursioni più classicamente hard rock in odore di Deep Purple e Uriah Heep, che appiattivano un po’ il suono, dall’altro a intermezzi e divagazioni che soprattutto nel primo album finivano per annoiare l’ascoltatore. Tutto questo per lasciare ancor maggiore spazio ai retaggi folk citati in apertura, in modo che anche i brani più lunghi scorrano senza intoppi creando mondi sonori magari più impegnativi rispetto al passato, ma sicuramente più appaganti ed intriganti. La summa di questa nuova visione si ha nella seconda parte del disco, dopo l’ottimo antipasto rappresentato dai primi quattro brani, che già sono un bel viaggio con la loro psichedelia pesante e onirica (specialmente Empty Vessels con i suoi assoloni di chitarra e When The Fire Is Dead In The Grate con la sua compattezza granitica): Hesperus si dipana sinuosa per sette minuti, partendo da un canovaccio minimale quasi kraut per poi crescere accompagnata da chitarre acide il giusto e da un drumming che rimane sempre essenziale e motoriko; Answer ha una base ritmica più sincopata, con il basso a tirarne le fila, prima di un finale corale molto avvolgente; Thief è probabilmente il momento migliore del disco, altra cavalcata di sette minuti in cui i momenti direttamente legati alle bucoliche atmosfere Fairport Convention si alternano e si compenetrano in maniera perfetta con quelli più heavy, che specie nel finale si fanno sentire con un bel carico di distorsione e potenza; NRR, il pezzo finale, punta invece più sull’effetto caos organizzato, con una partenza fatta di accordi spezzati, che poi trovano la loro forma e sostanza dando vita a un gran bell’assalto sonoro. Ora non ci resta che attendere il disco totalmente folk dei Wolf People, anche se sarà difficile trovare una Sandy Denny che duetti con Jack Sharp. Di certo la Jagjaguwar, etichetta della band, non avrebbe problemi a promuoverlo.