giovedì, Dicembre 19, 2024

Weyes Blood – The Innocents: la recensione

Dietro il moniker Weyes Blood opera Natalie Mering, musicista che ha cominciato una personalissima ricognizione nell’ambito folk attraverso il collettivo di Portland Jackie-O Motherfucker per poi ingrassare le fila dei collaboratori di Ariel Pink, per il quale si è occupata dei cori poco prima di debuttare come solista calcando le scene festivaliere insieme a Guy Blakeslee della The Entrance Band. Il debutto discografico come Weyes Blood, nome che sembra storpiare il titolo di un noto romanzo di Flannery O’Connor, arriva con “The Outside Room” pubblicato dalla Not Not Fun nel 2011, album che da subito getta le radici di un folk deviato, con reminiscenze legate alla musica popolare antica e un mood generale oscuro e minaccioso, quasi fosse una versione più intima delle storie a veglia raccontate dai Faun Fables.

The Innocents“, il cui titolo non può non far venire in mente l’omonimo film di Jack Clayton diretto nel 1961 su ispirazione di un romanzo pubblicato da Henry James (Il giro di vite) ma pesantemente trasformato in un dramma gotico di ispirazione “sudista” dalla penna di Truman Capote che ne curò la sceneggiatura, conferma in un certo senso l’atmosfera e l’impostazione del precedente capitolo firmato dalla Mering ma, in sintonia con la suggestione innescata dal titolo, si spinge se possibile ancora più a fondo nella descrizione di un mondo sospeso e oscuro, tra spirito e aberrazioni della natura.

La prima novità risiede nell’emersione totale del background classico e popolare caro alla musicista Newyorchese, attraverso una evidente scelta modale di derivazione rinascimentale alla quale vengono aggiunti detriti di un’elettronica “concreta”, che la stessa Mering ha definito molto vicini, nelle intenzioni, alla sperimentazione di Pierre Shaffer, vere e proprie “intermissions” disturbanti che sottendono alla forte suggestione melodica del suo songwriting, decisamente ancorato ad un folktelling di tipo classico che trova la giusta accoglienza in casa Mexican Summer.

Se quindi i primi nomi che potrebbero venire in mente sono quelli di Joanna Newsom, Angel Olsen e Julia Holter, “The innocents” delinea il percorso di una voce originalissima nell’ambito dell’alt folk, del tutto inafferrabile per la commistione tra questo milieu e gli elementi che si descrivevano. Brani come Bad Magic, Summers e l’inquietante Some Winters sintetizzano perfettamente la strana creatura musicale di mezzo che Natalie Mering è in grado di evocare; si ascolti a questo proposito un lamento spettrale come Requiem for Forgiveness, con quell’uso straniante del vocoder, il tracciato melodico rinascimentale e un’elettronica analogica algida e sospesa nel tempo; viene in mente a tratti l’operazione sulla tradizione compiuta da David Lynch insieme a Jocelyn Montgomery per l’album “Lux Vivens”, drone music sviluppata non a caso dai cantus firmus di Hildegard von Bingen, che qui si sposta maggiormente verso suggestioni di stampo elettroacustico.

“The innocents” parla una lingua lontana, affascinante e indecifrabile come un codice sconosciuto, ha lo stesso fulgore delle immagini che Jack Clayton filmava nel Sussex, tra la natura dello Sheffield Park, dove Satana si mostrava in pieno sole.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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