Nuovo capitolo per il travelogue elettronico di Sean McBride e Liz Weldelbo, ricognizione personalissima tra dark-wave ed elettronica analogica, una fusione tra l’archeologia digital-pop degli ottanta e le atmosfere algide che si respiravano nella new york di Liquid Sky. Come nel film culto di Slava Tsukerman, l’estetica coldwave del duo di Brooklyn è quella di un pop corrotto da influenze aliene, la cui propensione melodica viene disattesa dalla scansione ossessiva dei sequencer, dal battito ventricolare delle drum machine e da quell’ibrido tutto ottantiano tra uomo e macchina, che nel quarto lavoro di Xeno & Oaklander si propone in modo ancora più evidente per la consistenza maggiormente vocale dell’album, quasi che il passaggio a Ghostly International abbia orientato la tendenza “trance” del progetto in una direzione più comunicativa e retro-pop. Forme non risolte tra sentimento e dispositivo, che in interface vengono rilevate per quello che sono, raccontando proprio la trasformazione delle relazioni nello spazio digitale, spostamenti percettivi che si verificano anche nella sovrapposizione del timbro di McBride con quello della Weldelbo, etereo e shoegaze quello di lei, mentre lui rievoca spettri di una wave britannica di trent’anni fa. Che il viaggio, temporale, immaginifico e intimo, sia il luogo d’elezione per la musica del duo, non trova conferma solo nella title track, ma anche in una delle tracce più gustose di tutto il lotto, la francofona Nuage d’ivoire, piccola escursione french touch completamente affidata all’erotismo evanescente della Weldelbo, viaggio tra i fumi di un “polar” cibernetico e nostalgico allo stesso tempo, e non ha troppa importanza se questa leggerezza si incrina nell’oscura e strumentale Reflections, da buoni esperti del genere, Liz e Sean, sanno che filtri e viraggio, sono il miglior antidoto alla noia di un racconto in movimento; Sheen riprenderà proprio in chiusura l’esotismo vintage della lingua francese, nel gioco iridescente delle tastiere, battiti artificiali d’altri tempi.