Malgrado il disco d’esordio del duo veneziano sia immerso in una marea digitale di elementi elettronici, ritmi sintetici, beat & glitches e suoni contemporanei ed iperprodotti, cela per converso, un nucleo antico, retaggio, probabilmente, delle passate esperienze maturate in un più tradizionale ambito garage punk. Non a caso A Bit Bad è da quelle latitudini che proviene, essendo un tirato indie core di marca grunge, come se ne sentivano ai tempi che furono, uscir fuori dal catalogo Vox Pop (mi hanno ricordato i primissimi Pitch). Ma anche quando a reggere l’impalcatura melodica è il pulsare nervoso delle macchine ed i synth occupano la scena, ad emergere è un sentire novantesco che sa di Nirvana e Pumpkins (Mindout/Flux) o, conseguentemente, di una certa wave di rimando come scorre sulle corde del basso di House Of Clouds, facendone una sorta di Notwist in minore. A volte ci si attorciglia su un loop sbilenco, come nella rivelazione dell’acronimo di Your Life In Unique Meaning, che fa un po’ Tarwater e che svela poi un brano composito, nevrotico, che procede a sezioni diversificate e contrastanti, suonato live, spezzato e ricomposto in studio. Mentre il post techno pop di Interstellar Collapse e Dressed Up ha più di un rimando a Thom Yorke che, con o senza Radiohead, di fatto, parrebbe il loro riferimento più concreto. Alla fine, un disco teso e fibrillante che non cede un attimo e si conferma, pur con tutti i piccoli difetti che possono comunque (ci mancherebbe altro) rintracciarsi qui e lì, una buonissima opera prima. Inserendosi, oltretutto, in una tendenza che va sempre più dando gradevoli frutti sul territorio italo.