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YouNuts! dall’underground al mainstream. Il videoclip italiano cambia volto
Niccolò Celaia e Antonio Usbergo si scambiano passioni e un iter professionale molto simile. Da quel momento in poi non si lasciano più. All’inizio dello scorso decennio cominciano a collaborare dietro il moniker di YouNuts!, sigla e simbolo della loro casa di produzione condivisa, attraverso la quale riformano sostanzialmente l’immagine del videoclip italiano contemporaneo, realizzando lavori per i maggiori artisti pop nazionali.
Molto di quello che è accaduto negli ultimi dieci anni in termini videomusicali a cavallo tra la cultura indipendente e quella mainstream, lo si deve alla loro creatività, tra le poche ancora in grado di mettere in comunicazione i due mondi. Il territorio del videoclip, per come lo definiamo instancabilmente su indie-eye, è al centro di ibridazioni e convergenze, ora più di prima. Quella che interessa ai YouNuts! ha maggiormente a che fare con il Cinema, anche se attraverso questo dialogo privilegiato, spesso vengono introdotte intuizioni che si riferiscono alle arti performative, all’estetica del remix e in modo molto istintivo e selvaggio, ad una personale lettura dell’arte digitale.
É il caso dell’ultimo video realizzato nella loro prolifica carriera, ovvero “16 Marzo“, nuovo singolo di Achille Lauro, diretto e montato da Celaia e Usbergo durante i giorni della quarantena che ci ha costretto tutti tra le quattro mura, per le misure di contenimento e contrasto contro l’epidemia COVID-19.
Esempio formidabile di creatività connettiva, è stato realizzato a distanza a partire dalle idee dello stesso Achille Lauro, ma con una capacità di coordinamento e di commistione tra formati, linguaggi e storia delle immagini che solo YouNuts! potevano mettere insieme con coerenza, sincero artigianato e invenzione.
Se il “come” è più determinante del “cosa”, YouNuts! dimostrano ancora una volta il superamento di un limite come quello dell’inagibilità momentanea dei set. Lo fanno attraverso un progetto che recupera l’immagine della memoria per individuare uno spazio di transito. Questo lo si rileva tra la distanza raggelante delle prime immagini digitali e quel calore che nel cinema anni ’90 cercava, disperatamente, di conservare il fantasma della tattilità oltre il dispositivo.
Benedetta Porcaroli, giovane attrice e co-protagonista della serie Netflix Baby, offre volto e corpo a questo sfarfallio della memoria che vive certamente nelle liriche e nella fantasia creativa di Achille Lauro, ma che attraverso il video dei YouNuts! diventa una incredibile sospensione del tempo, proprio quando la percezione umana di tempo e spazio sembra coesistere solo nella dimensione virtuale, nelle immagini e nei formati della nostra memoria.
Animazione, miniDV, found e stock footage, bassa definizione e videodiaristica; senza riferimenti espliciti al gioco di rispecchiamenti dei social network che avrebbe cambiato irreversibilmente il nostro modo di guardarci, “16 Marzo” ci racconta, da uno strano futuro anteriore, cosa saremo diventati.
Achille Lauro – 16 Marzo, video ufficiale – Dir: YouNuts! (Niccolò Celaia e Antonio Usbergo) – Con Benedetta Porcaroli
YouNuts! – L’intervista con Niccolò Celaia e Antonio Usbergo
In occasione dell’uscita del loro ultimo video, “16 Marzo“, montato e coordinato per Achille Lauro, abbiamo raggiunto Niccolò Celaia e Antonio Usbergo, aka YouNuts!, per una lunga intervista sulla loro carriera.
Per conoscere il loro metodo, abbiamo attraversato insieme la nascita e lo sviluppo dei videoclip che il duo ha realizzato nell’ultimo decennio, per artisti come Jovanotti, Marco Mengoni, Gemitaiz, Marracash, Lorenzo Fragola, The Giornalisti , Federico Zampaglione, Achille Lauro.
Sul video di “16 marzo” in particolare, ci siamo fatti raccontare making of e fasi produttive. Uno spunto importantissimo e uno slancio di creatività per un periodo difficile, dove la reinvenzione diventa necessario superamento di un limite.
Partiamo da lontano. La vostra formazione e come è cominciata l’avventura creativa in coppia.
Niccolò Celaia: Ho cominciato ad appassionarmi alle immagini sin da piccolo. Mio padre era art director e mi ha trasmesso mestiere e passione. Spesso lo seguivo sul lavoro con le sue macchine fotografiche. In questo modo ho smanettato molto e ho capito che la creazione di un’immagine era il mio mondo. Anche quando andavo a scuola, mi portavo sempre dietro una telecamerina. In seguito, questa dimensione più hobbistica è diventata qualcosa di diverso e ho cominciato ad investirci. Il cinema in particolare è un interesse che ho sempre avuto; capire come si faceva.
Antonio Usbergo: La passione c’è sempre stata, sia per il cinema che per i videoclip, almeno da quando frequentavo la scuola media. Tornavo a casa e accendevo sempre MTV. Tra l’altro avevo una di quelle televisioni combo, che integravano schermo televisivo e videoregistratore VHS e mi registravo tutti i video musicali che amavo, per rivedermeli fino a quando non ho cominciato a collezionare DVD. Per quanto riguarda la “formazione” come videomaker non è stata tradizionale, soprattutto in termini scolastici o in generale in relazione all’arte del videoclip. Siamo fondamentalmente due autodidatti e mi sono avvicinato alla fotografia in modo autonomo, prima di tutto grazie alla passione che mi ha trasmesso mio padre. In seguito ho seguito alcuni corsi, ma in forma molto basica. Ho poi cominciato a girare le mie cose a livello sperimentale, utilizzando le videocamere miniDV. Quando sono uscite le prime reflex in grado di registrare video full HD come per esempio la Mark II e la 7D della Canon, ho cominciato a smanettarci ed è nata la passione vera e propria per il videomaking. In quel periodo avevo aperto uno studio di comunicazione con alcuni amici del liceo. Io mi occupavo della parte fotografica e dei video. Dovevamo girare uno spot per la Tim e avevo bisogno di un aiuto per la parte fotografica. Ho chiamato Niccolò, che era già un ottimo videomaker e un eccellente direttore della fotografia. Abbiamo cominciato a collaborare in quell’occasione.
Niccolò: Si, tra l’altro in quel periodo lavoravo da solo ed era difficile crescere ulteriormente anche in termini di complessità produttiva. Avevo un gruppo musicale, con i quali ho cominciato a sperimentare realizzando videoclip; lavori che sono piaciuto molto alla scena rap romana e grazie ai quali me ne sono stati chiesti altri. La cosa si è allargata, fino a quando non ho incontrato Antonio. Lui aveva già skills produttive; riusciva ad organizzare, a trovare persone ed allo stesso tempo era creativo come me.
Antonio: Dopo il video per la TIM, Nicco mi ha chiesto una mano per fare alcuni di questi video underground per la scena rap romana, abbiamo cominciato in questo modo a condividere le nostre competenze.
Il moniker Younuts! nasce dalla vostra passione per gli anni ottanta e il junk food, ma ha un significato più preciso; è una dichiarazione di intenti. Potete raccontarcela in termini estetici?
Niccolò: Esattamente. Mette insieme le fisse che abbiamo per Cinema e junk food. Prima utilizzavo una sigla diversa, “video addicted”, quindi ce ne siamo trovata una che potesse accontentare entrambi.
Antonio: Sia la ciambella che il simbolo provengono dalla cultura degli anni ottanta. Oltre al Junk food c’è un riferimento ai Simpsons, che amiamo moltissimo. Non ha un significato preciso; ci piaceva qualcosa che creasse assonanza con il nome
Niccolò: Infatti. Il mio amico Franz, grafico, parte del mio gruppo musicale, ha cominciato a cercare qualcosa che partisse dalla ciambella e che potesse diventare un simbolo. Da “Donuts” ha isolato la parola “nuts”, che significa folle, pazzo. Una pazzia che si riferisce anche al rischio che ci prendiamo in ambito creativo. Affrontare idee estreme, sperimentare con l’immagine. Younuts! ci piaceva e ci rappresentava molto.
Antonio: Oltre a questo siamo molto legati al simbolo perché sintetizza tutto quello che si riferisce all’estetica anni ottanta, al Junk food e all’America in generale.
Come si divide, in termini di ruoli, il vostro lavoro: regia, sceneggiatura, post produzione?
Niccolò: Facciamo tutto entrambi. Io sono quello più nerd e mi piace affrontare fotografia e post-produzione, ma ovviamente dipende dal progetto e da cosa accade sul set.
Antonio: Divisione equa, assolutamente. Tutti e due sappiamo fare tutto. Tutti e due facciamo tutto. Ovvio che spesso capiti di dividerci le competenze in modo più specifico, per esempio quando siamo incasinati con i lavori e uno di noi è impegnato a fare altro. Ci dividiamo i compiti per quanto riguarda la regia e la direzione degli attori, di cui mi occupo io, mentre come diceva Nicco, lui segue maggiormente fotografia e post-produzione. Sul set molte cose cambiano rispetto a questo schema e ci capita di fare tutto
Mi sembra che la prima parte della vostra videografia, con le clip per Gemitaiz, Marracash, Deleterio, giochi moltissimo con il cinema di genere invece che con la storia del videoclip propriamente intesa. Che relazione attiva cercate nel vostro lavoro tra questi due mondi, quello del racconto cinematografico e della videomusica?
Niccolò: La relazione con il cinema è un aspetto che viene spesso rilevato nei nostri lavori. Nel nostro taglio si è spesso riconosciuto l’approccio di chi “cerca di fare cinema”. Non lo abbiamo mai nascosto del resto, è il nostro obiettivo più grande. Abbiamo sempre cercato di inserire aspetti cinematografici nei nostri video musicali, a partire dall’ispirazione che crea un’immagine dopo aver ascoltato il pezzo
Antonio: Diciamo che entrambi i mondi, cinema e videoclip, ci influenzano molto. Almeno per quanto mi riguarda, sin dall’inizio intendevo il video musicale come un mezzo con cui poter raccontare storie, sviluppare soggetti. Quello che di fatto abbiamo realizzato, abbiamo cercato di farlo in modo filmico, un approccio non così seguito, almeno quando abbiamo iniziato. Anche se non siamo dei pionieri, perché abbiamo cominciato tra il 2010 e il 2012, in quel momento circolavano video molto più standard ed era difficile trovare in Italia videoclip con un approccio così cinematografico
Quanto è importante la relazione diretta con il tessuto urbano romano nei vostri video? Ve lo chiedo perché al di là dei riferimenti cinematografici, alcune clip hanno una flagranza più diretta, documentale e sembra che mappino in modo poetico la morfologia di una certa Roma…
Niccolò: Siamo entrambi romani. 33 anni di vita a Roma. Città meravigliosa ma anche molto incasinata, piena di macchine. Se la fotografi in modo molto diretto, non esce benissimo, proprio per questo caos. Dietro al casino di gente e di macchine c’è una cornice più interessante. Quello che cerchiamo di fare quando filmiamo Roma risiede nella ricerca di luoghi inediti, che fotografati in un certo modo, non restituiscano quell’immagine incasinata di cui ti parlavo. Cerchiamo un sapore molto diverso.
Antonio: Quella con il tessuto urbano della nostra città è stata una relazione importante. Dipende sempre da quello che devi raccontare, dal video che devi realizzare. Quindi cercare i quartieri e le loro peculiarità, lasciando indietro gli aspetti più commerciali, inclusi i simboli architettonici e turistici. Io vengo da una borgata popolare, quella della Garbatella. L’ho inserita anche in alcuni video, anche in quelli realizzati per Jovanotti. A questo proposito, per il video di “oh, Vita!” dove Lorenzo ha voluto raccontare tutta la sua adolescenza a Roma, si sono scelti luoghi simbolici, come il quartiere dove ha vissuto. Quando era possibile, abbiamo sempre cercato di considerare Roma come parte integrante del video, oltre il livello estetico e oltre qualsiasi messaggio.
Il videoritratto invece, quello dove si stabilisce una relazione più intima con il performer, come nel caso delle clip realizzate per Mengoni e Samuel, mi sembra che vi consenta di sperimentare in modo diverso sullo spazio e sulla qualità dell’immagine, sospesa tra web e realtà, intimità e paesaggio….
Niccolò: Si, in questi casi abbiamo cercato di sperimentare e creare delle cornici intorno ai personaggi. E con i paesaggi ci siamo riusciti, cercando un connubio tra l’intimità del book e questi posti visivamente incredibili
Antonio: Diciamo che quando non si lavora su una storia, ma hai la canzone e il playback, devi e puoi sperimentare sull’immagine e sul paesaggio. Una cosa che in genere ci piace molto. Vengono chiamati spesso “street video”; sembrano facili da fare, in realtà con pochi elementi devi dargli un carattere. Per il video di “Ti ho voluto bene Veramente” girato per Marco Mengoni siamo andati in Islanda. Marco stesso voleva un video dove potesse semplicemente camminare, cantare il pezzo e avere la neve sullo sfondo. Poteva venirne fuori un video molto banale, ma spingendo sulla particolarità delle location abbiamo potuto sperimentare con i luoghi. Abbiamo scelto l’Islanda, un luogo stupendo, così da immergere l’artista in un ambiente dal forte impatto visivo.
C’è molto cinema, soprattutto italiano, anche nella clip realizzata per il 18/mo anniversario di “Due Destini” dei Tiromancino. In quel caso avete pensato a “Il giovedi” di Dino Risi?
Niccolò: No, non abbiamo pensato a Dino Risi, si tratta di un caso. L’idea è stata discussa con Federico Zampaglione ed è nata insieme a lui. C’è comunque molto cinema, perché è una storia basata su due personaggi.
Antonio: Non ho visto “Il Giovedì”. Rimedierò. Come dice Niccolò, l’idea è nata insieme a Federico, noi avevamo scritto una cosa diversa. Nell’immaginarci “Due Destini” certamente non volevamo far una cosa banale, legata alle dinamiche della coppia; anche perché quando dobbiamo affrontare video di questo tipo dove la coppia è al centro, cerchiamo di non legarci al dialogo uomo/donna. In questo caso avevamo pensato ad un amore diverso, ma Federico era più orientato su quello genitoriale. Da padre e uomo separato, gli piaceva raccontare questo amore tra una figlia e suo padre. Da qui abbiamo sviluppato l’idea del video.
Cosa hanno cambiato le prime collaborazioni con Jovanotti, prima di tutto nella vostra carriera, ma anche nel vostro modo di concepire il videoclip?
Niccolò: Fortunatamente abbiamo incontrato una persona che ha fermamente creduto in noi. Una persona con quarant’anni di carriera alle spalle. Lorenzo ha visto i video che avevamo realizzato per Salmo, gli sono piaciuti molto e ci ha chiamati per il primo singolo di “Lorenzo 2015 CC”, che era “Sabato”. Dalla realizzazione di quel video abbiamo ottenuto una visibilità cento volte maggiore rispetto a quello che facevamo prima. Con un’esposizione così grande ci ha inoltre consentito di comunicare che si può fare un videoclip Pop, evitando gli standard e i canoni più classici. Una dimensione che è arrivata anche ad altri artisti e che ci ha consentito di conquistare la loro fiducia. In questo senso il nostro modo di concepire i videoclip non è cambiato. Sicuramente si sono moltiplicati i mezzi per poter realizzare quello che avevamo in mente.
Antonio: Assolutamente d’accordo con Nicco. I video realizzati per Lorenzo hanno cambiato molte cose nella nostra carriera; sono quelli che ci hanno consentito di svoltare nel mondo del video musicale. Soprattutto il primo, “Sabato”, perché arrivava dopo una serie di video rap dove avevamo setacciato tutta la scena, tanto da ancorarci a quel genere. Usualmente c’è una certa diffidenza nei confronti di chi viene da quel contesto, per quanto riguarda la possibilità di realizzare video con artisti più pop. Lorenzo è stato molto coraggioso ed ha rappresentato il ponte che ci ha permesso di affrontare altri generi. Fiducia e cambiamento. Non lo dimenticheremo mai. Ci ha inoltre permesso di lavorare in modo molto libero. Lorenzo è una persona che ti ispira molto, ti offre tantissime prospettive e suggerimenti. Ci ha anche consentito di lavorare con budget molto diversi da quelli precedenti e quindi di osare maggiormente. Tutti aspetti importantissimi.
Nei video più recenti si è intensificata la relazione con il mondo del cinema e della fiction italiana, in termini di linguaggio, taglio e anche volti (Giallini, De Angelis, Porcaroli). Il videoclip è sempre un territorio di convergenza, dove tutto somiglia ad altri linguaggi, ma viene sottoposto a radicale trasformazione. Mi interessava sapere come lavorate con gli attori che provengono dal mondo del cinema e della fiction nello spazio di sintesi del video musicale
Niccolò: Parli di un aspetto che ci interessa molto e che è molto bello. Senza i dialoghi e i rumori, nei videoclip devi puntare alla chiarezza delle espressioni. Senza la parola ti affidi ai gesti, ai movimenti del volto. Chi proviene dal Cinema conosce tutto questo perfettamente e non è necessario spiegare niente sul set. Con i professionisti che provenivano da quel mondo abbiamo lavorato con più agilità e al di là di alcune indicazioni di massima, si sono avvicinati a quello che avevamo in mente senza alcun problema. Per chi realizza videoclip, collaborare con attori che provengono dal mondo del Cinema è una cosa molto bella.
Antonio: Si, la differenza tra collaborare con attori che provengono dal mondo delle fiction o del cinema, rispetto ad attori che di fatto non lo sono, è abissale. Giallini per esempio mi ha stupito moltissimo. Sapeva già cosa gli avremmo chiesto, dove era posizionata la macchina. Ti anticipava. L’esperienza ci consente di non comunicare troppo sul set e in questo senso dopo aver spiegato la scena e le intenzioni, abbiamo potuto lasciarli liberi di offrire la loro lettura, che al 99% era quella corretta. Il videoclip è appunto una sintesi come dicevi, non servono le parole e poter contare su attori di grande esperienza è molto d’aiuto.
Il paesaggio nei vostri video diventa occasione per costruire una piccola sinfonia pop: colori, forme, linee. Penso ad alcuni video per Jovanotti ma anche a “E’ sempre bello”, realizzato per Coez. Natura e artificio, corpi e oggetti. Tutto concorre alla creazione di uno spazio performativo nuovo, alternativo alla dimensione dello studio. È un aspetto che vi interessa, quello di portare in strada l’estetica performativa del videoclip, tranne ovviamente alcune eccezioni?
Niccolò: Come ti dicevo prima, io provengo dall’hip hop e dal rap. Quando si realizzavano i video, spesso dovevamo arrangiarci e la strada rappresentava il luogo per eccellenza dove poter trovare location interessanti. Riuscire a vedere gli spazi che hai intorno, sfruttarli, è sicuramente una cosa che ci piace. Si può creare un’estetica super pop, ma anche street, applicando a questi approcci alcune modifiche, così che quel linguaggio di riferimento diventi qualcosa di diverso, più particolare. Il rimando è sempre alla dimensione urbana, ma può diventare qualcosa di indipendente, rispetto alla semplice fotografia di un muro o di una strada. Diventa una composizione che hai creato, sfruttando gli elementi architettonici e i luoghi della città.
Antonio: Esattamente. Un paesaggio può fare il video stesso. Palermo per Samuel, l’Islanda per Mengoni, Brighton per Coez.
Niccolò: A proposito del video realizzato per Coez, ci siamo dati come obiettivo quello di realizzare una cosa molto pop, colorata, un tipo di immaginario molto difficile da vedere in Italia. Brighton l’avevamo già filmata per “Infinite Volte”, il video di Lorenzo Fragola. Ci era piaciuta molto l’estetica colorata, street, che incorporava anche elementi decadenti. Perfetta per quel tipo di immagine che volevamo ottenere.
Antonio: Si è cosi. Perché il paesaggio deve raccontarci qualcosa mentre lo guardiamo. Deve trasmetterti un sentimento, un rimando. Viaggiare all’estero e cercare location fuori dall’Italia aiuta molto. In Italia ci sono paesaggi stupendi, ma a cui siamo più abituati. L’immaginario sollecitato da immagini legate a luoghi meno familiari diventa qualcosa di inedito, magico.
Quando invece lo spazio diventa quello dello studio, preferite allora la ricostruzione nostalgica? Penso a “Le canzoni” realizzato per Jovanotti…
Niccolò: Lavorare in studio è molto stimolante dal punto di vista fotografico. Ma per quanto riguarda la ricostruzione nostalgica, per quanto riguarda “Le Canzoni”, quello è un aspetto legato al desiderio di Lorenzo ed è stato un caso.
Antonio: Si, diciamo comunque che può accadere, anche se la ricostruzione nostalgica può verificarsi anche fuori dallo studio, non è necessariamente legata a quello spazio. Nei nostri video, a meno che la narrativa non lo richieda, cerchiamo sempre di rifarci ai novanta, agli ottanta e anche a qualche decennio precedente. Per quanto riguarda il video realizzato con Lorenzo, abbiamo voluto raccontare il mondo anni ottanta, con il quale siamo cresciuti e di cui Jovanotti ha fatto parte. Era un aspetto interessante.
Niccolò: In ogni caso, mi piace molto la dimensione dello studio perché consente di controllare totalmente le luci. Aspetti più complessi in altre location, possono essere sperimentate diversamente. Lo studio è una vera e propria palestra per riuscire ad inventarti modi diversi per utilizzare l’illuminotecnica.
Antonio: Aggiungo che alcune volte utilizziamo lo studio come un luogo/non luogo. Un posto dove realizzare cose molto astratte, che non si appoggino necessariamente ad un’epoca determinata dalla memoria.
Il video tra i vostri che secondo me riesce a creare uno spazio davvero alieno è “Veleno 7” per Gemitaiz e Madman. Ipertrofico, ricco di citazioni, transmediale come i recut trailer, i mashup, i remix video. Che ne pensate e come vi siete avvicinati a questo mondo per crearne uno spazio inedito?
Niccolò: Era un’idea in cantiere da molto tempo. Conoscendo bene Gemitaiz e Madman e sapendo del loro culto per il cinema di genere, si è creata la sinergia perfetta. Inserirli nelle sequenze dei film che abbiamo amato e con i quali siamo cresciuti è stata un’occasione stupenda. Quando si è deciso di fargli indossare i costumi utilizzati dai protagonisti di Ghostbusters eravamo esaltatissimi e ci siamo fatti una foto con quei vestiti. Tieni conto che tutto è stato ricreato, passo passo. Sono molto contento del risultato.
Antonio: Quando ci vediamo con Gemitaiz normalmente ci troviamo in un ristorante cinese. Se andiamo a casa sua, ordiniamo comunque cinese. Una tradizione ormai. Come diceva Nicco, un’idea come questa balenava da tempo. Loro hanno espresso il desiderio di indossare costumi, parrucche, interpretare dei personaggi. E l’occasione si è manifestata. In quel video abbiamo potuto mettere molte cose, inclusi i cameos di altri artisti, oltre ovviamente a ricreare le situazioni del cinema che abbiamo amato e a cui abbiamo reso omaggio.
Per il nuovo video di Achille Lauro avete scelto Benedetta Porcaroli, giovane attrice di cinema e co-protagonista di Baby, serie Netflix già approdata alla seconda stagione. Aveva già collaborato con voi per il video dei The Giornalisti “Maradona Y Pele”. Mi sembra che con lei, in forme e modi affrontati diversamente nei due video, abbiate introdotto un lavoro specifico sul corpo. Nel video per The Giornalisti, contaminando lo spazio del videoclip narrativo con inserti ritmici che determinano il groove stesso dell’immagine, attraverso il corpo e la presenza fisica. Le intenzioni erano queste, ovvero contaminare l’estetica del remix con lo spazio dei video narrativi, inclusa fisicità e corporeità ritmica?
Niccolò: Credo sia in parte inconsapevole. Ci sono rimandi al cinema di Tarantino dove il corpo diventa elemento per sollecitare l’immaginazione. Da questo punto di vista abbiamo affrontato la cosa in termini molto istintivi. Benedetta che balla; la camera si ferma su un dettaglio dei piedi piuttosto che sul taglio degli occhi. Esattamente come uno spettatore che si gode la sua esibizione. La camera compie gli stessi movimenti istintivi esercitati dai nostri occhi.
Antonio: Per il video di Achille Lauro abbiamo chiamato ancora una volta Benedetta perché lui desiderava la sua presenza ad ogni costo. Per noi è stato un piacere lavorare di nuovo con lei, anche se in questo caso, purtroppo, a distanza. In quel video c’è molto di Lauro. Parlando con lui abbiamo capito che aveva le idee molto chiare. Noi abbiamo arricchito e coordinato le sue idee perché in un certo senso raccontavano gli anni novanta, periodo che abbiamo vissuto intensamente a differenza degli ottanta. Quello che dici sul corpo è vero. Abbiamo fatto un lavoro che è presente anche in “Maradona Y pele”, questo perché Benedetta ha un fisico che lo consente e perché a livello narrativo, la corporeità era elemento fondamentale in entrambi i lavori. Per il video di Achille Lauro Benedetta è in casa, costretta come tutti dalle misure di contenimento dell’epidemia COVID-19. Questo ci ha permesso di giocare su di lei come protagonista di quelle riprese, ecco quindi che il corpo diventa centrale.
Nel video per Achille Lauro Benedetta è completamente al centro, come appunto dicevate. La forma quasi videodiaristica mi ha ricordato il video che avete realizzato per Lorenzo Fragola, “Super Martina”. Prima di entrare nel dettaglio, volevo sapere se l’intenzione era quella di avvicinarsi all’estetica di un diario intimo, legato al modo in cui ci osserviamo negli spazi di condivisione di massa: frammentati e ricombinati nel virtuale.
Niccolò: L’idea è di Achille Lauro. Ci ha mandato un video reference montato da lui. Ci ha chiarito come avrebbe voluto la realizzazione di alcune cose, tra cui le auto-riprese di un’attrice fatte in un certo modo. Oltre a questo sono stati aggiunti frammenti disegnati e altre brevi clip. In questo senso noi ci siamo mossi come esecutori e coordinatori di tutto il materiale, cercando di adottare un taglio che ci piacesse, per avvicinarci alla ricerca estetica già impostata da Achille Lauro e per migliorarla dal punto di vista tecnico.
Antonio: L’altro aspetto fondamentale è il tentativo di creare una finestra nel mondo intimo di Benedetta. Le immagini che la riguardano sono riprese da lei, altre dal suo compagno, ottimo regista, che ci ha aiutato facendo da operatore.
C’è un aspetto suggestivo che rende difficile scoprire la sorgente e la fonte di alcune immagini. La comunicazione a mezzo stampa parla di video home made e realizzato, come si diceva, durante i giorni della quarantena. Dal frammento intimo condiviso probabilmente su instagram dalla stessa Benedetta, alle riprese realizzate durante l’isolamento. Ci potete raccontare il making, ovvero il modo in cui il team creativo ha interagito e come avete gestito e diretto il materiale complessivo di cui parlavate anche prima?
Niccolò: C’è un mix di tutte le cose che ti raccontavamo prima. Oltre ad alcune clip di utilizzo libero che abbiamo comprato. Per fare in modo che Benedetta realizzasse le auto-riprese a casa, le abbiamo inviato una telecamerina miniDV, fornendole alcune indicazioni. A quel punto ci siamo fatti spedire le cassette, che abbiamo successivamente acquisito.
Antonio: Si, in particolare l’utilizzo della miniDV era molto importante. Volevamo ricreare un’estetica molto precisa, oltre a consentire l’auto-ripresa in modo più agile rispetto all’utilizzo di un cellulare, che comporta molti limiti. Anche Lauro a casa sua ha potuto utilizzare una minicam molto simile
Niccolò: In termini di coordinamento abbiamo attivato una sorta di regia da remoto, perché all’arrivo delle clip si trattava di definirne la qualità, capire se andavano bene o se era necessario aggiungere qualcosa.
Antonio: Esattamente. Abbiamo fatto delle videochiamate con Benedetta, fornendole una lista di azioni da seguire. Ottenute le immagini abbiamo inviato tutto via wetransfer al montatore.
Niccolò: Il pre-montato di Achille Lauro, di cui si parlava prima, era relativo alla cultura pop degli anni novanta. E a quella ci siamo riferiti, cercando materiale che fosse pertinente per il collage conclusivo.
Antonio: Oltre a quello che dice Niccolò è importante ricordare il contributo di Ginevra Vacalebre, animatrice e disegnatrice molto brava, con cui avevamo collaborato per il video di Dani Faiv “In peggio”. In questo caso il tempo era davvero risicato, quindi è riuscita a realizzare solo l’animazione iniziale dove si vede Achille Lauro e altri piccoli flash che sono stati inseriti nel montaggio.
Tutto è in discussione nei giorni del lockdown, in Italia e in tutto il mondo. Il mestiere del videomaker è tra quelli più a rischio, come per tutte le competenze legate ai settori che coinvolgono i lavoratori dello spettacolo. Vengono meno luoghi, possibilità, incontri, e quel dinamismo che rende il lavoro del videomaker un mestiere in perenne movimento. Eppure, l’infinitesimamente piccolo di un appartamento, se immaginato con creatività, consente oggi di creare visioni di transizione molto forti. Cosa ne pensate e come pensate ne uscirà il vostro lavoro, dopo la fine della crisi epidemiologica e l’inizio di quella economica?
Niccolò: Quello che si spera è di riuscire a far tutto, anche se con le dovute attenzioni. Il limite consente di spingersi verso cose diverse. Se sai l’ostacolo esiste da qualche parte, in un lavoro come questo si diventa molto abili ad aggirarlo. Non perché si debba essere paraculi, ma perché diventa necessario sviluppare l’idea in modo che il limite non sia un problema per te. In questo senso è vero quello che dici: i limiti possono offrirci soluzioni creative per fare le cose in modo diverso.
Antonio: Nei primi giorni della quarantena, ho pensato subito al nostro lavoro. Ho pensato al fatto che l’industria musicale avrebbe rallentato ma che non si sarebbe fermata. Di fatto sono usciti molti video, alcuni realizzati con il cellulare, altri di grafica animata. Mi viene in mente il video di di “Supercalifragili” realizzato dallo stesso J Ax, pensando alle stories dei social network. Ovvio che sull’immediato si sia cercato di attivare una reinvenzione nel miglior modo possibile, utilizzando strumenti “mobile”. In questi giorni ho pensato ad alcune idee alternative alle solite motion graphics o ai video che si possono realizzare con uno smartphone. Ho tirato fuori alcune idee, credo siano molto valide. Probabilmente, sul breve periodo si potrà comunque fare di meno, ma non credo che cambierà il modo di vedere le cose. Ci saranno alcune limitazioni e con queste dovremo fare i conti, sfruttando creatività più ingegnose e più adatte alle circostanze. Certo, per un po’ dovremo scordarci intere scene con cento comparse, ma questo spinge sicuramente a creare qualcosa di particolare, che stimoli a fare meglio e diversamente da certi standard. Sarà difficile, per esempio, poter gestire set imponenti come quelli del cinema, almeno nel breve periodo, ma proprio per questo, i set leggeri dei video musicali o di alcuni lavori documentaristici, credo possano essere una valida alternativa, oltre a rappresentare dinamiche di sviluppo più facilitate.