Un vero e proprio evento quello che Musicus Concentus in collaborazione con Disconnect si appresta a portare a Firenze, nella suggestiva e silvestre cornice dell’Anfiteatro delle Cascine Ernesto De Pascale, entro lo spazio estivo Ultravox Firenze. Yves Tumor, innovativo e incendiario artista afroamericano con una vita artistica sospesa tra Stati Uniti ed Europa, calcherà la scena fiorentina domenica 10 luglio a partire dalle 21:15.
Uno degli show più attesi dell’estate e più importanti a livello internazionale, al centro del parco delle Cascine per presentare al pubblico fiorentino gli ultimi lavori pubblicati come Yves Tumor: Heaven to a Tortured Mind e l’Ep successivo, The Asymptotical World, entrambi usciti sulla prestigiosa Warp.
In occasione del concerto, il terzo dei cinque eventi speciali concepiti per festeggiare il 50° anniversario di Musicus Concentus, Indie-eye propone un approfondimento dedicato a Yves Tumor, al secolo Sean Bowie, attraverso la sua musica, la sua poetica e la sua identità visiva.
Yves Tumor live
Inizio concerto ore 21:15
@ Ultravox Firenze – Anfiteatro delle Cascine Ernesto De Pascale
Parco delle Cascine – Firenze
ingresso 25 € + d.p
biglietti disponibili su Boxol
Maggiori informazioni, Musicus Concentus sito ufficiale
Il dio serpente: gli esordi di Yves Tumor
Per Sean Bowie non deve esser stato facile il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Nato a Miami e cresciuto a Knoxville, in Tennessee, lascia definitivamente la città a vent’anni, stanco di un ambiente chiuso, omofobo e razzista, lo stesso che pochi anni dopo, attraverso le parole dello sceriffo e pastore battista Grayson Fritts, definirà i gay come mostri che avrebbero dovuto esser giustiziati dal governo. Dopo un’intensa esperienza californiana dove incontra per la prima volta Mykki Blanco e registra con il moniker TEAMS, si sposta verso l’Europa per introdurre lo pseudonimo di Yves Tumor durante il transito personale e culturale più importante della sua carriera, quello che lo vede attivo tra Torino, Leipzig, Berlino e Los Angeles. Transitorietà che è frutto di una voluta flanerie mai stanziale, sul cui approdo nega con fermezza qualsiasi dettaglio all’insistenza gossippara della stampa.
Sono realmente apolidi le scelte di vita di Bowie, lo è anche la sua musica, spiazzante esperienza di ridefinizione identitaria.
Serpent Music, prima release sulla lunga distanza con la nuova identità artistica, esce per la PAN di Bill Kouligas, piattaforma multi-disciplinare berlinese di ricerca, che da tempo stabilisce un ponte tra l’avant-garde degli anni settanta e il futuro.
Pubblicato nel 2016, è in effetti un prodotto alieno. Tutta l’esperienza formativa di Sean Bowie, incluse le influenze southern, confluiscono in un provocatorio mix che sporca la cultura R&B con il noise più estremo. Un procedimento che infetta le stesse liriche del progetto. Questo è bilanciato tra oscenità e tenerezza, vicinanza alle attitudini più pulsionali e repulsive e improvvise aperture verso una dimensione spirituale. Ma si tratta di una spiritualità non riconciliata, tanto da aver pensato a “God Fearing” come titolo provvisorio per l’album.
Yves Tumor, in questa fase, quando parla di vibrazioni trance, di un movimento psichico e fisico che agisce sottopelle, non si riferisce al percorso della black music, ma preferisce citare l’influenza fondamentale dei Throbbing Gristle nella sua musica. Eppure l’ossessione del padre per il suono Motown e una dieta adolescenziale a base di quel groove, inoculano in un territorio fatto anche di sangue e merda, una potente onda sensuale che trattiene ben salde le radici, mentre field recordings, sample di derivazione ambient, un utilizzo fenomenico, empirico e fisico dell’elettronica, complicano sentimenti ed esperienza emotiva dell’ascolto, lanciandola oltreconfini.
Fortemente ancorato alla neutralità di genere nell’uso del linguaggio, in realtà considera lo stesso un magma vivente, sollecitato attraverso le convenzioni della narrazione rock già decostruite dal primo David Bowie e con una libertà che farebbe impallidire gli accademici nostrali che si attardano sulla “mostruosità ideologica” della schwa. Del resto il cognome di Sean, sulle cui origini anagrafiche c’è un grande punto interrogativo, potrebbe essere a sua volta un patronimico artificiale, una dichiarazione di intenti, il recupero, almeno parziale, del lessico glam in termini sia visuali che musicali, come possibile golden era della trasformazione, ma anche i limiti stessi di quel sistema di segni, sottoposti a continuo superamento.
La domanda da farsi è quella sui confini della stessa sperimentazione, termine che ha perso totalmente di significato dal momento in cui indica un’identità ben radicata, un tag generico per definire artisti di un certo tipo, come qualsiasi altro marcatore. Se il gusto per il rovesciamento dei parametri consente proprio a chi non si fa mettere nella prigione metodista del rigore, di recuperare elementi un tempo considerati come la feccia del mondo mainstream, l’attitudine sperimentale acquisisce un valore diverso, maggiormente legato all’idea di possibilità e soprattutto, capace di modificare il proprio codice genetico.
Qual è la tua maschera? Yves Tumor e la nostalgia per il futuro
Safe in the Hands of Love, debutto di Yves Tumor per la prestigiosa Warp, esce nel 2018 e combina l’oscurità professata degli esordi con una maggiore e apparente accessibilità in termini musicali. Più che una deriva, una messa a fuoco pop che attinge alle più svariate influenze, dal post-punk all’alternative fine novanta, rovesciando i fattori che avevano caratterizzato il primo album. Il rumore, l’oscurità, gli elementi capaci di perturbare l’ascolto, scorrono sotterranei, all’interno di una confezione più solida. Maggiore capacità comunicativa non significa quindi abdicare, ma in altri termini potenziare il discorso sviluppato fino ad ora. “Is this you or your persona?” è un concetto che evidenzia il nuovo corso anche in termini estetici. Sei questo pop, fatto di memoria, ricordi, nostalgia per il futuro, oppure i tuoi ascolti sono un costrutto che celano un vulcano, pronto a liberare qualsiasi tipo di energia?
Il risultato è quello di un campionario riconoscibile di frammenti sonori, tutti riconducibili eppure astratti, tracce di culture decostruite, bello e brutto che si scambiano simbolicamente posizione, il pop minato dall’interno con riferimenti e collaborazioni più o meno esplicite con la scena industrial. In sintesi, un procedimento quasi dadaista: annichilire alcune mitologie nel momento stesso della loro creazione.
Yves, l’alchimista.
Più di Dada, forse è l’alchimia il riferimento pertinente, almeno per la capacità di trasformare l’inerzia materiale e ripetitiva dei generi in un mostro vitalissimo. Heaven to a Tortured Mind, terzo album e secondo pubblicato per Warp arriva due anni dopo il precedente e si apre con una traccia manifesto: Gospel for a New Century. Oscura, minacciosa eppure attraversata da una sensualità ribollente, la stessa che crea instabilità per tutto l’album e ne assesta il tono, in termini tematici e formali. Eppure gli espliciti riferimenti all’estetica glam, al Prince dei set live, all’erotismo pansessuale di Marc Bolan, e alle loro declinazioni più recenti, non funzionano per adesione, ma come frammenti di un fuoco interiore (passione, interessi, amore, odio) necessari per raggiungere altre vibrazioni.
La differenza tra denotazione e connotazione è quindi essenziale, nella definizione di pezzi, brandelli, sample riconoscibili eppure destinati a cambiare senso in base al discorso combinatorio. Non è un caso che lungi da essere solo disturbante, il “racconto” di Yves Tumor, cerca quel processo di individuazione a partire dal caos e dalle tenebre, per rivelare una stimolante coincidenza di opposti. Ancora una volta l’alchimia. Proprio il video di “Gospel…” vede il nostro incarnare la mitologia di Pan (un riferimento costante nella discografia di Tumor). Da una parte il tutto universale della tradizione tardo-cristiana che rielabora quella greca, ma più di altre cose, il filtro della cultura esoterica popolare da cui Tumor è evidentemente sedotto, con modalità riviste rispetto alla sbornia Crowleyana di Bowie, David, ma replicando in forma esplicita e più glamour gli stessi codici. Mentre l’ex duca bianco, qualche anno prima, puntava verso l’assimilazione/negazione nell’estremo, inquietante, ironico e inafferrabile Blackstar, il video, Tumor si identifica con i suoi dáimōn per poi trasformarli.
Il disco viene prodotto da Justin Raisen, come il precedente, e fortifica la dimensione pop con l’inclusione di una serie di vocalist tra cui Kelsey Lu, Hirakish, Clara La San, Diana Gordon, Pan Daijing, Julia Cumming.
L’arte asintotica di Yves Tumor
L’avvicinamento all’oggetto segna anche distanza dallo stesso. Una cura asintotica della propria arte che ha spesso la forma (im)perfetta del bonsai. Difficile non pensare a The Asymptotical World Ep, ultimo lavoro di Tumor, come ad un titolo manifesto. Quindi le sonorità retrò sono ancora più polarizzate, dal punk al grunge, dal genoma glam al virtuosismo delirante e fuori standard di Zappa e Prince, fino al peggio fine ottanta pompato dalla chitarra di Chris Greatti, già con i Blink-182 (appunto). Nessun limite.
Visual Tumor. La metastasi visuale di Sean Bowie: tutti i videoclip di Yves Tumor
Le identità visive di Tumor sono altrettanto ricche e significative. Noid, la prima clip estratta da Safe In The Hands of Love, viene diretta da Andreas Brauning, già produttore per Minhal Baig, talentuosa regista di origini Pakistane, molto vicina al discorso delle radici musulmane in terra straniera. Non è meno politico il video di Noid, dove l’urgenza continua e non direttamente indirizzabile delle liriche, fa il paio con il racconto durissimo di una ben nota violenza fascista e urbana. Il video estrapola forma e retorica del cinema del reale, trasponendole nel frame del videoritratto. Tutto è performance, anche l’oppressione violenta.
Lifetime, pubblicato due mesi dopo è diretto da uno dei nomi più importanti della videomusica internazionale, Floria Sigismondi (più volte con Bowie, David). Oltre ad essere uno dei video più convincenti della regista di origini italiane, interpreta l’estetica frattale del brano, con una moltiplicazione prismatica dell’identità multipolare di Tumor. Oltre ai corpi, i simulacri, i manichini e il concetto di “persona”, è un gioco eminentemente ottico, un video nient’affatto digitale e di qualità fotografica. Nel gioco kleistiano tra identità e marionetta, caro alla Sigismondi, Tumor esprime la sua poetica visuale e spirituale, con una lotta tra demoni senza soluzione.
Secondo nome di rilievo per il terzo video tratto dalla prima uscita per Warp di Yves Tumor. A dirigere Applaud c’è Gia Coppola, nipote di Francis Ford, autrice di film come Palo Alto e il più recente Mainstream, uscito poco dopo il video girato per Tumor, oltre ad un buon numero di video musicali. Introdotto e chiuso da un viaggio nell’occhio, è il video apparentemente più tradizionale tra quelli di Tumor, che cerca di tradurre sul piano visivo l’underworld più psichico che reale delle liriche.
Yves Tumor – Applaud – Dir: Gia Coppola
Gospel for a New Century, prima clip pubblicata per promuovere Heaven to a tortured mind, viene diretta da Isamaya Ffrench, makeup artist e direttrice creativa, il cui talento è stato impiegato per i video di Madonna, Fergie, The Horrors e Zombie Kids. Ovvio quindi l’approccio creaturale per il video di Tumor, un dio Pan da clubbing la cui immagine viene sottoposta a continue interferenze a bassa definizione, mentre la mutazione avviene sul piano esplicitamente simulacrale dell’estetica CGI. Tumor dimostra di essere uno straordinario accentratore a prescindere dai creativi con cui lavora, per la capacità di indirizzare il progetto nella direzione in cui desidera.
Il video della splendida Kerosene! viene diretto da Cody Critcheloe ovvero Ssion. Ne avevo scritto approfonditamente qui su indie-eye. Resta da aggiungere, rispetto alla straordinaria parabola creativa di Ssion, alcune riflessioni sulle connessioni per niente casuali con l’arte di Yves Tumor. Entrambi gli artisti operano una risemantizzazione pop di elementi più o meno conosciuti. Tra parodia ed eccesso emerge una verità poetica estrema, legata alla mutazione dei corpi, delle identità e dei parametri relazionali. Mentre sul tubo circola la versione “per tutti”, quella integrale non censurata si può godere dal sito promozionale dell’album di Tumor.
Jackie nasce dal lavoro di Actual Objects, studio losangelino fondato da Rick Farin e Claire Cochran insieme al producer Nick Vernet. Il loro segno distintivo è la rielaborazione di mondi immaginali attraverso realtà renderizzate. Si tratta non a caso di un immaginario post-umano dove il nome stesso dello studio, allude alla materialità della tecnologia e al fatto che gli stessi mondi digitali non siano considerati avulsi dalla corporeità. Questi, in qualche modo, includono conoscenza emozionale. Matericità del lavoro e anche degli strumenti che concorrono alla creazione di mondi digitali complessi quindi. Nella loro mission, dichiarata in più di un’occasione, c’è l’idea di assottigliare la separazione implicita tra la definizione di natura (animale vs. umano, tecnologia vs. ecosistemi) per cercare nuove forme di coesistenza, mentre la civiltà accelera. Problematizzano quindi il concetto stesso di natura individuandola in termini estensivi. Il ricorso massivo a tecnologie CGI che attraversa i loro lavori, cerca quindi di non imitare la realtà esperienziale, ma di creare una dimensione alternativa attraverso la quale sia possibile interrogare la nostra esistenza non-aumentata. Una sovversione, un riflesso, uno specchio. Ecco che la connessione con il lavoro di Tumor ci sembra molto forte, e conferma le scelte miratissime del nostro nell’affiancare il suo lavoro a quello di talenti visuali “sul bordo”. Nel video di Jackie, Tumor è un electric warrior che discende tanto dall’estetica glam, quanto dalla mitologia personale che ha costruito attraverso i riferimenti di cultura popolare esaminati sino a questo momento. Nell’affascinante avvitamento tra videoarte e videoludico che Actual Object ritaglia sull’artista afroamericano, il transito da un contenitore identitario all’altro ha una consistenza carnale e spirituale allo stesso tempo, fisica e virtuale.
Secrecy Is Incredibly Important To The Both of Them, agevolato in testa all’articolo, è diretto da Jordan Hemingway, il talentuoso regista di Plainsboro, New Jersey, trasferitosi presto a New York, dove è attivo come fotografo e filmmaker. Parte di quella generazione di creativi abbacinati dalla cultura underground degli anni settanta e prestati alla causa proteiforme del mondo fashion, per il primo video che promuove The Asymptotical World EP, estremizza il gusto per la ritrattistica in una sarabanda street che rilegge Mick Rock, ma anche numerose influenze cinematografiche. Tumor è in una stanza adibita alla tortura dei prigionieri di guerra, ma anche il suo antagonista. Ancora è al centro di una rapina e di una gioiosa orgia con geishe steampunk. Difficile venirne a capo se non nei termini in cui le stesse liriche, sfuggenti e chiarissime come capita sovente con Tumor, possono essere intese come un’irrisolta battaglia interiore. Il brano stesso, che ondeggia tra punk, glam, il CBGB, il post-punk britannico, crea quella continua destabilizzazione percettiva che insieme all’R&B, contribuisce a definire una delle avventure più emozionali dai tempi del miglior Tricky.
Yves Tumor, dal vivo: violento ed emozionale
Gli show di Yves Tumor sono un’esperienza che ha mutato forme e aspettative nel tempo. Al centro è rimasta una dimensione violenta e selvaggia che adesso viene declinata nei termini di una rilettura dell’estetica glam da una prospettiva visuale esoterica (Marc Bolan, il primo Bowie, qualcosa dei Kiss di God of Thunder). Non è la stessa cosa, non è una dimensione nostalgica e retrò, come abbiamo raccontato nel corso di questo approfondimento, ma un sistema di codici e di segni che viene rielaborato secondo dinamiche sonore, compositive e strategiche che nel corso della sua carriera gli hanno consentito di tradurre il movimento ritmico dell’R&B all’interno di altri contenitori, dal noise all’industrial, dall’elettronica al post-punk. Glam è la postura, glam sono alcuni codici desunti dalla riduzione già postmodern di Pince, glam è l’impatto che cerca con il suo pubblico, sul palco maggiormente incline alla potenza rispetto alle meticolose stratificazioni sonore che sono percepibili su disco. In alcuni contesti ha cercato un coinvolgimento diretto con la folla, scendendo tra la gente e reclamando un contatto vitale, tra danza e amplesso. In altri, il mosh dancing ha incendiato la platea seguendo le sollecitazioni di un attacco noise violento, liberatorio, estremo. Attendiamo che svegli Firenze, in uno dei concerti più attesi della stagione.
(Ringraziamo per foto e materiali Lorenzo Migno – ufficio stampa Musicus Concentus)