Dove è finita tutta quella forza ammaliante che era propria degli Zen Circus? Si sono imborghesiti pure loro? E’ già il tempo di cedere il passo a chi da loro ha tratto ispirazione, come per esempio i Criminal Jokers?
Queste le domande che ci si pone ad un primo sbigottito ascolto di Canzoni contro la natura, nuovo album uscito per La Tempesta a meno di un anno dal disco solista di Appino, leader, chitarra e voce della band.
E’ possibile parlare di disco della maturità? Anche questo mi son chiesto e diciamo che è possibile trarre una conclusione di questo genere. La maturazione sembra procedere di pari passo con un distacco dalla tipica immediatezza dei brani degli Zen. Il disco scivola via, necessita ascolti successivi, bisogna andare incontro alle canzoni. Sono andato a riascoltarmi alcuni pezzi dei dischi precedenti, Nati per Subire e Andate tutti affanculo. Sarà che erano altri tempi, ma li tengo a mente, ne ho memoria, sia delle melodie che delle parole. Ho come la sensazione che così non potrà avvenire con questo disco.
Il motivo? Una libertà maggiore, probabilmente. La voglia di altro. Meno strumenti utilizzati. Una maturità cercata. La voglia di fare un disco in poco tempo, buona-la-prima. Ma ancora non è così forte il distacco. Si può parlare di vecchio e nuovo, una coabitazione divisa tra lato A e lato B, come ai vecchi tempi dei 33 giri.
Viva sarebbe la traccia ponte tra il vecchio ciclo e questa nuova vena cantautorale: un nuovo distacco anti-sociale, potente e potenziale nuovo inno. Postumia pure si lega al passato, ovviamente richiamando alla mente le sbronze e non le grotte slovene, con una propensione a generalizzare forse più tipica de I Cani. Canzone contro la natura si accoda alle visioni apocalittiche, che percorre Guccini e i Nomadi fino ad arrivare ai già citati Teatro degli Orrori, privo della retorica hippie o filosofica, privo proprio di retorica.
Passata Vai vai vai!, un valzerino da annoverare tra gli amarcord, si apre il nuovo mondo: meno attraente, meno musicale, certamente più naturale e spontaneo, ma con una consistente perdita di intensità. Gli Zen Circus, quelli che facevano cagnara ai concerti, i casinisti del circo nomade, stanno cambiando. Se finora tutte le influenze letterarie e musicali venivano citate ma compresse e sintetizzate (recuperate il libretto di Andate Tutti Affanculo), adesso Appino e soci cercano di costruire un nuovo filone letterario e musicale, senza trovare intuizioni musicali inedite né temi originali, ma affidando alla potenza della parola tutto il vissuto. Il circo diventa stanziale. La parola prova a diventare poesia. Albero di tiglio si immagina la visione di Dio sul nostro mondo ispirandosi alla Guerra di Piero, L’anarchico e il generale sta tra Sand Creek e Il Pescatore. Insomma non si vola basso. I tossici di Natale son spariti, non si va più affanculo (soprattutto dopo che lo slogan è stato assorbito da Grillo e soci), non vogliamo più morire e anche se lo volessimo ci siam ritrovati vivi, come una disgrazia, come una svista.
Dalì è influenzata dalle storie derelitte del Teatro degli Orrori, con la collaborazione di Appino con Favero e Valente ne Il Testamento. Più Dostoievskij che Majakovskij, sicuramente. No Way è un dialogo per coinvolgere ancora il pubblico, avvicinarlo ancora allo studiolo in un angolo, non per vedere la collezione di farfalle ma per ammirare la biblioteca di classici on the road. Chiude Sestri Levante, luogo dell’anima come fu Follonica per i Baustelle e i vari quartieri di Roma per miliardi di indie rock band; si tratta, paradossalmente, della traccia più attraente, facile, ammaliante. Sarà per il tono di Appino, da vecchio barbone che ha una storia da raccontarti, che più provi ad allontanarti e più rimani ad ascoltarlo e a bere un goccio di Tavernello con lui.
Difficile trarre una conclusione, quello che immagino, è che un percorso di questo tipo, una volta cominciato, renderà quasi impossibile e anche controproducente un ritorno alle origini. Anche a costo di passare per rompicoglioni, cari Zen Circus, continuate sulla strada della poesia, anche a costo di rimetterci fan e vendite. La strada della vera consacrazione, al di là dello status spesso facile e angusto di artista indipendente, dovrebbe passare proprio da qui.