mercoledì, Dicembre 18, 2024

Re-build the Factory: musica e arte s’incontrano, una playlist di Virginia Monteverdi

Attraverso la selezione di 34 brani ripercorriamo gli anni migliori della Factory Records di Manchester fino al 1992, etichetta fondata nel 1978 dal giornalista Tony Wilson e dall’attore e manager Alan Erasmus con la collaborazione del produttore discografico Martin Hannett, del grafico Peter Saville e del manager Rob Gretton.

Un viaggio attraverso sonorità dimenticate che partono dal punk e dal post punk per arrivare alla new wave, alla dance e all’acid house nella sua forma iniziale. Un viaggio utile per riscoprire l’identità di un sogno e di una volontà di cambiamento a metà tra etica punk e modalità divulgative provenienti dall’arte contemporanea.

La Factory è conosciuta per aver portato il suo contributo alla nascita e allo sviluppo della scena musicale underground e post punk nella città di Manchester e per aver lanciato numerosi gruppi che sarebbero poi diventati la punta di diamante del movimento: Joy Division, Durutti Column, A Certain Ratio, OMD, Cabaret Voltaire, New Order ed Happy Mondays. Non solo post punk e non solo new wave vedono in questa città un fulcro attivo. Questa etichetta si proponeva come un centro di diffusione della giovane musica underground, quella che veniva direttamente dal punk ormai giunto al capolinea, cercava e dava spazio a tutte quelle realtà sconosciute e poco apprezzate dal grande pubblico che secondo Wilson potevano cambiare il corso della storia della musica con sonorità e metodologie compositive che in quegli anni erano sinonimo di innovazione.

Tony Wilson non ha mai smesso di credere in quel progetto, l’obiettivo era quello di trasformarlo in arte duratura, non importava se ad un concerto c’erano 30 o 40 persone, per lui ogni concerto della Factory era un evento storico. D’altra parte all’Ultima Cena c’erano 13 persone e all’omicidio di Cesare solo 5.

La Factory, che prende il nome dallo studio di Andy Wharol, era concepita non solo come una casa discografica ma come un vero e proprio brand artistico che andava ben oltre i dischi, era una fucina artistica tra grafica, stamperia e produzioni video che nasceva dall’unione tra arti contemporanee e avanguardie del 900, cultura umanistica e tutta la musica underground esplosa alla fine degli anni 70.

Era una realtà innovativa tra musica ed estetica che ha indubbiamente lasciato un segno iconico e di riconoscimento per il sound e lo stile di quegli anni.

Come in ogni fabbrica o industria che crea prodotti in serie numerati da un codice, la Factory adottò il medesimo sistema creando un catalogo e associandolo all’unicità del prodotto artistico mentre all’atto creativo veniva contrapposta ed associata la materialità della produzione industriale numerata. Ogni oggetto che usciva da quel collettivo aveva un suo numero di riconoscimento progressivo così definito “FAC n°”. Il primo della serie fu il poster dei primi concerti organizzati da Tony Wilson al Russell Club, il secondo un EP compilation con i singoli di Joy Division, Durutti Column, John Dowie e Cabaret Voltaire.

Anche gli eventi e i concerti, per eccellenza performance “hic et nunc”, rientravano nella numerazione progressiva e venivano trattati come veri e propri prodotti materiali della fabbrica, così come le inaugurazioni dei locali da essa gestiti: per il Dry Bar FAC 201 e per l’Haçienda FAC 51.

L’etichetta era associata ad un locale che Wilson e Co. aprirono nel maggio del 1982, l’Haçienda, noto club collettore di un nuovo sound, che sarà in seguito conosciuto come “Madchester”, e luogo per le esibizioni live delle band dell’etichetta e non solo.

Il nome nasce da uno slogan dell’Internazionale Situazionista “The hacienda must be built”, un movimento politico e artistico della seconda metà del 900, che affondava le radici nel marxismo, nell’anarchismo, e nelle avanguardie artistiche di inizio secolo, in particolare nella scuola di artigianato artistico del Bauhaus, da cui Seville saccheggiò saggiamente lo stile grafico creando la nuova identità d’immagine dell’etichetta e del club.

Fu proprio in quel locale infatti che la Factory, tra la fine degli anni 80 e l’inizio dei 90, si è trasformata nel centro propulsore di nuovi generi musicali che videro proprio lì la loro diffusione e sviluppo su larga scala che influenzò in maniera biunivoca produzione discografica e selezione degli artisti: acid house, dance, techno, EBM, musica elettronica e le prime forme di aggregazione proto-rave.

Fu l’Haçienda che ospitò alcuni dei gruppi e artisti che poi diedero vita alla scena dance-house: un giovane Fatboy Slim, i Chemical Brothers, Quando Quango, Happy Mondays, Stone Roses, Jerry Dammers, insieme a molti djs che iniziarono a portare la cultura del club da Ibiza al nord Europa.

Virginia Villo Monteverdi
Virginia Villo Monteverdi
Laureata in Storia dell’Arte medievale e seriamente dipendente dalla musica Virginia è una pisana mezzosangue nata nel 1990. Iniziata dal padre ai classici rock ha dedicato la sua adolescenza a conoscere la storia della musica. Suona e canta in un gruppo, ama fare video, foto e ricerche artistiche e ogni tanto cura delle mostre d’arte contemporanea.

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