La folla è serena, la piazza continua a riempirsi, chi si muove con fare affaccendato e accaldato, chi guarda il cielo con aria trasognata. Transenne di ferro dividono lo spazio in due parti, appoggio sacrosanto per chi da più tempo ha trovato la base su cui rilasciare il peso del proprio corpo. Fa caldo. Le luci si accendono e una musica allegra e saltellante fa il suo ingresso. Il contributo adolescenziale al business dei jukebox digitali.
Francesco Renga è sorridente, elegante nel suo completo blu, Max Pezzali con quegli occhi che sembrano sottolineare una malinconia di fondo sembra un eterno ragazzino un po’ sfigato, maglietta, jeans e cappellino verde sulla testa.
Nek assomiglia a uno yuppie salutato dal pubblico con un “sei bellissimo” che ci riporta indietro almeno di vent’anni. È una celebrazione di pura nostalgia.
Questo trio compatto si mostra per ciò che è diventato, lì di fronte a chi non è mai uscito dalla propria cameretta e vuole rivivere quel senso di solitudine e incomprensione degno di ogni giovinezza. Hanno fatto una scelta spietata basata su quelle canzoni del loro repertorio che sono riuscite a imporsi, dimenticando le altre che invece sono durate lo spazio di una mattinata. Solo Max Pezzali tenta l’irreparabile, quando si prende il tempo per La canzone sull’estate, tratta dall’album del 2017 Le canzoni alla radio. Chiede quasi scusa ai suoi spettatori, è consapevole che l’effetto karaoke per un momento si fermerà. Ma sono solo cinque minuti su quasi tre ore di concerto e trentotto canzoni, è un atto di ribellione quasi trascurabile.
Musiche romantiche, ascoltate con gli occhi di lei persi negli occhi di lui. Non c’è niente di inaspettato, i brani seguono quel numero elementare di regole che ne dettano il successo, la forma prevedibile – strofa, ritornello e interludio – che le persone amano, che scende così profondamente nella memoria collettiva che tutti possono contarle a squarciagola. Non c’è nessuno che non sia contento, questa boy band per adulti, come hanno amato definirsi, fa ondeggiare leggermente il corpo e lasciano presagire un’intensità che non esiste.
Hanno ucciso l’Uomo Ragno ma in fondo anche no, un redivivo Spiderman fa il suo ingresso, sotto la maschera Giorgio Panariello, che come un vecchio amico, solidarizza, prende in giro i tre moschettieri e si affretta a rientrare dietro le quinte. Le gag continuano, ma sembrano forzate, una lite sulla chitarra lascia il tempo per introdurre il secondo atto dello spettacolo, la sessione acustica. Una canzone d’amore scatena un abbraccio collettivo. E parte il trenino quando attaccano Se una regola c’è, la gente sta bene, come se per un’intera serata sentisse di poter essere libera, disinibita, disobbediente.
Non è più divertente limitarsi ad ascoltare, questo pubblico entra a pieno diritto dentro lo show, canta, grida, balla.
Al termine di Sempre noi, come di un lungo viaggio, Max, Renga e Nek salutano e augurano la buonanotte. Scompaiono, le luci si riaccendono, la piazza si illumina ma gli spettatori non indietreggiano di un passo, e qualche minuto dopo come un grande e unico organismo cominciano a cantare all’unisono Come Mai. Sono tanto rapiti da non accorgersi immediatamente che Nek ha già fatto ritorno e ha iniziato una lunga fase di Bis con Laura non c’è.
Le notti alla fine finalmente finiscono, «inutile parlarne sai, non capiresti mai».