Non c’è bisogno di difendere Ringo Starr, anche se il suo genio non è mai stato abbastanza celebrato, il rullo introduttivo di She Loves You è una pallottola in canna che quando viene sparata illumina la canzone e fa battere forte il cuore. A differenza dell’altro Beatles, Paul McCartney, Ringo ha scelto di perseguire un obbiettivo diverso, di non rinnegare nulla, ma mettersi alla batteria e suonare le canzoni che lui e altri leggendari musicisti hanno contribuito a creare.
Sembra suggerici l’idea di una band senza problemi di ego, lui che quando guarda indietro sa di essere sempre stato un elemento di coesione. Punta i riflettori su i suoi colleghi e rassicura la folla di persone raccolte sotto il palcoscenico con la T-shirt dei Beatles, che lui e i suoi amici suoneranno i successi che tutti conoscono e amano.
Flessuoso ed energico con un dress code che lo fa assomigliare allo zio alla moda di Bono, genera immediatamente soddisfazione con le fluttuanti ondate percussive di It Don’t Come Easy.
Ma poi come al tavolo di una roulette, i numeri e i colori si susseguono, tocca agli altri, è il chitarrista Steve Lukather dei Toto, presentato come il Duke, il John Wayne del rock, a immergere in una passeggiata lunare gli spettatori con una straordinaria performance di Rosanna.
Gregg Rolie alle tastiere fa esplodere la piazza con un pezzo di Santana per poi passare la palla a Colin Hay dei Man at Work.
È una scaletta disseminata di contributi ma dominata solo da loro. Un vecchio gruppo di cani sciolti capaci di scuotersi di dosso la polvere e i demoni che li hanno tormentati.
Con un certo sentimentalismo, quando si ferma, Ringo ricorda sempre due parole, Peace & Love, che riecheggiano nell’atmosfera calma di Piazza Napoleone. Anche chi siede compito al proprio posto scatta in piedi e alza il braccio, quando afferma che chiunque non conosca questo pezzo è nel posto sbagliato.
La band parte accennando Stairway to Heaven per scherzo e poi come se si tornasse indietro nel tempo, diventa Yellow Submarine. Un gigantesco pezzo di storia si consuma davanti agli occhi di una platea incantata.
È la colonna sonora originale di molte storie d’amore a sollevare gli schermi del cellulare, il capolavoro dei 10cc, scritto da Stewart e Graham Gouldman, ed è proprio il bassista, ultimo acquisto della All Starr Band a cantare I’m not in love.
Ringo ripercorre anche parte della sua carriera solista, con Photograph e You’re Sixteen, i grandi successi dell’album che porta il suo stesso nome, pubblicato nel 1973.
Forse aveva ragione Francis Scott Fitzgerald quando affermava che non esistono secondi atti nella vita degli americani, a differenza di quella degli inglesi.
Un’ora e quarantacinque minuti di musica, nessuna cupa nostalgia, solo la volontà di non arrendersi al voler essere niente di più che una celebrità.