In coppia si lavora meglio, la storia ce lo insegna. Gianni e Pinotto, Franco e Ciccio, Gigi e Andrea, Zuzzurro e Gaspare, il Gatto e la Volpe sono solo alcuni degli esempi che mi vengono in mente. Persino Nick Cave, nonostante le sue eccellenti doti di autore solista, ha sempre avuto bisogno di un comprimario per esprimersi al meglio. Il ruolo che in principio fu di Rowland S. Howard (RIP) e poi di Blixa Bargeld, da qualche anno è occupato dall’ex Dirty Three Warren Ellis. Mi sono sempre chiesto perché mai Cave non abbia conferito a Mick Harvey – il suo più antico e fidato collaboratore – l’onore di diventare il compagno di merende definitivo. Forse se lo è domandato anche Mick, visto che nel 2009 ha lasciato i Bad Seeds sbattendo la porta. Azione in parte giustificata, specie se consideriamo che un paio di anni prima Cave aveva pubblicato un album a nome Grinderman; praticamente una riunione del gruppo senza Harvey. Una deviazione sul percorso che si sarebbe dimostrata ben più di un semplice side-project: il divertissement aveva acquisito crescente popolarità, tanto che Dig, Lazarus, Dig!!! dei redivivi Bad Seeds sembrava influenzato dal suono di Grinderman, e non viceversa. Con l’uscita di questo secondo volume, il quartetto si posiziona su un piano di sostanziale parità – se non di superiorità – rispetto al gruppo madre. I Grinderman sono l’altra faccia dei Bad Seeds: invece di assecondare le velleità cantautoriali del leader si sentono liberi di fare casino, immergendosi in un contesto più ludico e corale. Ciò detto, prenderò a schiaffi il prossimo che me li paragona ai Birthday Party. Le affinità fra le due formazioni si esauriscono nell’essere entrambe composte da individui che suonano strumenti. È pur vero che l’ombra degli Stooges continua a perseguitare Cave e compagni come un lupo assetato di sangue (si ascolti al riguardo l’assalto panzerfaust di Mikey Mouse and the Goodbye Man), ma rispetto ai Birthday Party i Grinderman mancano del tutto di incoscienza giovanile (comprensibilmente, data l’età!), di quel senso di follia dionisiaca à-la Pop Group che ne decretava la grandezza. Se anche il caos è presente in quest’opera seconda, rimane comunque sotto il saldo controllo di quattro navigati professionisti. Il che non rende certo Grinderman 2 un brutto disco. In effetti, è un disco con i controcazzi. Solo, diverso. Qui il punk non c’entra nulla, si attinge semmai al più puro spirito rock’n’roll, dimostrando al contempo amore e rispetto per la musica da cui il rock discende in linea diretta. Vale a dire blues, gospel, country, folk, hillbilly. Un’operazione didascalica che assomiglia a quella operata dai Bad Seeds su The Firstborn is Dead. Lo spirito in questo caso è meno cupo, più allegramente votato al cazzeggio, ma la sostanza è la stessa. La novità è che la lista delle influenze stavolta comprende non solo i country bluesmen dell’anteguerra, ma anche i gruppi di ragazzini inglesi che, un trentennio più tardi, avrebbero eletto quel suono a proprio vangelo personale. Un pezzo come Kitchenette sembra scritto dai Rolling Stones sotto Pentothal, e in più di un’occasione fa capolino una vena hard che rimanda ai Led Zeppelin (!). Si nota subito come l’opera ribalti l’equazione ballate/noise propria di Grinderman. Nonostante lo scatenato apripista No Pussy Blues, il primo disco si manteneva perlopiù su cadenze moderate. Qui l’affondo rock è la regola, più che l’eccezione: Jim Sclavunos pesta con decisione lungo l’intero album, Warren Ellis fa deflagrare esplosioni di rumore bianco a più riprese. L’unico pezzo che possa fregiarsi del titolo di ballad è Palaces of Montezuma. What I know ci prova, ma è molestata da un crepitio di sottofondo vagamente inquietante. When My Baby Comes parte defilata, ma si evolve inevitabilmente in una coda rumorosa e psichedelica, dove il basso distorto di Casey raggiunge estasianti empirei Mötorhead. Sarà la voglia di divertirsi dettata dalla crisi di mezza età, saranno le prime avvisaglie della demenza senile; fatto sta che Cave ha abbandonato l’ approccio narrativo da cantautore tormentato, a favore di un frasario ben più libero, improvvisato e selvaggiamente erotico. A tratti sembra incarnare il personaggio da lui creato, quel tale che “beve piscio di pantera e scopa la donna che hai sposato”. Un satiro calvo e libidinoso, pronto a soddisfare la sua ninfa perversa, come ben testimoniano le parole di Worm Tamer (“La mia bambina è conosciuta come l’amazzone del mambo/Piango tempeste di lacrime fino al sorgere del sole/Sai, sono felice solo dentro di lei/immagino di averti amata troppo a lungo”).
In inglese il termine “grind” indica l’azione di affilare un oggetto tramite frizione o movimento rotatorio. Vi lascio immaginare cosa intendesse affilare Nick quando ha coniato il moniker. Se quest’uomo riuscirà a mantenersi vivo, sono sicuro che nei prossimi anni sarà in grado di sollazzarci ancora e ancora. Chapeau.