venerdì, Novembre 22, 2024

Brad Sucks – Guess Who’s a Mess (autoprodotto, 2012)

La storia di Brad Turcotte da Ottawa merita più di una recensione, è la sua storia ad affascinare noi che ci arrovelliamo sui nuovi metodi di distribuzione della musica ai tempi della SIAE, sui metodi di pagamento dei prodotti d’ingegno musicale (negozi digitali, pay with a tweet, it’s up to you radiohead-iano, crowdfunding), su come avere successo sul web dopo la morte nemmeno troppo rimpianta di Myspace. Partiamo dalle origini. E’ il 2002, l’allora ventisettenne Turcotte decide come la maggior parte dei solisti e delle band di allora di sfruttare il web per la promozione del suo progetto dal nome eloquente: Brad Sucks, “Brad fa schifo”, come mostrare fin da subito le proprie carte con ironia e modestia.  Credendo inoltre nell’ascendere della dottrina open source (Creative Commons viene aperto l’anno precedente con il famoso slogan “alcuni diritti registrati”, la suite Open Office si affaccia come primo credibile rivale del pacchetto Office, il più popolare dei sistemi operativi figli di Linux, ovvero Ubuntu, doveva ancora nascere) decide di pubblicare tutte le sue creazioni artistiche sotto licenza CC e di concedere liberamente il download dei singoli pattern con cui ha assemblato le canzoni. L’anno successivo esce I Don’t Know What I’m Doing, pastiche electro-pop in low-fi, la traduzione delle turbe post-adolescenziali su synth minimi. Risultato un pò cazzone di anni di abbozzi di canzoni mai completate, il disco d’esordio prende sonoramente per il culo tutta l’epica delle vite sfigate dei college all’epoca delle chat, tra genitori scassapalle, persone su cui puntare il dito in continuazione, momenti di pura noia. Situazioni già descritte dal Beck in periodo di gloria (addirittura Borderline ricopia fedelmente le batterie campionate e le chitarre sfondate di Loser). Solo che l’attitudine amatoriale e la fine della pretesa di ergersi a rockstar (o quantomeno a artista degnamente pagato e riconosciuto) dona una sorta di aurea vittoria fin da ora a Turcotte. Intorno al sito della band nasce una piccola comunità che può interagire sia scaricando che ripostando le proprie canzoni; dato che il sito è autogestito, tutto passa dal deus ex machina Turcotte, che si promuove e rafforza questa comunità. Il sostegno economico arriva comunque: si può scaricare gratuitamente ogni album oppure contribuire pagandoli con una somma a piacere. Dopo cinque anni esce Out of It, seguito eccezionale del precedente album. La calma e la cura nel creare nuove canzoni abbraccia nuove tecniche di registrazione fai da te, che portano al migliore risultato del canadese. Le influenze elettroniche si dilatano con garbo nelle selve acustiche, tratteggiando questa opera come pop-rock. Le melodie sono pressochè le stesse (e rimarranno invariate anche per il seguito), si tengono e funzionano sulla voce calibrata di Turcotte, ma si tingono di quella malinconia che sostituisce la cazzonaggine precedente. Tracce come Certain Death, There’s Something Wrong e la title-track fanno rimpiangere la gioventù vissuta e mancata. L’ironia lascia il passo ad un sentimento di vero dispiacere e dolore. Anche per questo disco i fan sono liberi di maneggiare e remixare a loro piacere ogni traccia, che poi vengono rimesse liberamente in circolo sul sito, rafforzando i legami fan-artista. Nei forum il diretto interessato inserisce i testi e contribuisce a perfezionare le partiture inserite dai fan. Nel frattempo, sul sito di distribuzione gratuita di musica Jamendo il secondo disco raggiunge vette grandiose di ascolti e download (ad oggi il contatore segna più di 550mila ascolti e un decimo di download), mentre addirittura il precedente e minore disco supera le sei cifre anche per i download e sfiora il milione di ascolti. I quattro anni di distanza tra il secondo ed il terzo album vengono riempiti con dei demo che Turcotte mette in circolo nel tentativo di comporre finalmente il nuovo disco. Guess Who’s A Mess è uscito lo scorso 2 Novembre, ancora autoprodotto, è formato in parte dai demo pubblicati e da alcune canzoni rimasterizzate (le tracce scartate sono comunque in download, per la gioia onnivora degli ascoltatori). Questo episodio che quasi sancisce il decennio di attività rimescola le carte in tavola, riportando maggiore eterogeneità, vagando tra arrangiamenti sintetici e old skool e piccoli divertissement. Non c’è il pathos del precedente ma neppure l’immaturità degli esordi. Sembra quasi un disco di maniera, ben registrato, piacevole e con spunti niente male, come la bossa di Feel Free Plastic Surgery, i dilemmi schizofrenici dell’era digitale in Thanks for the Add, la trash disco di Model Home. Ancora una volta si regge sull’impianto melodico, marchio di fabbrica del canadese. Un disco onesto, per festeggiare i 36 anni di Turcotte senza abbandonare le turbe post-adolescenziali e la vita dei college da tempo abbandonata.
Cosa possiamo trarre da questo esempio positivo? Che l’onnipresenza sui social media e sulle forme espressive del web premia sempre, facendo sopravvivere anche a dispetto della fine dei trend digitali; che si può essere artisti, ammirati e conosciuti pur ammettendo l’impossibilità di tirarci su un lavoro; che non è necessario essere popolari senza ricambiare l’attenzione che centinaia di fan possono rivolgerti. E che è necessario un grosso e definitivo ripensamento sui concetti di diritti d’autore e di opere d’ingegno, specie se coperte da coyright.

 

Elia Billero
Elia Billero
Elia Billero vive vicino Pisa, è laureato in Scienze Politiche (indirizzo Comunicazione Media e Giornalismo), scrive di dischi e concerti per Indie-eye e gestisce altri siti.

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