Fever Ray è lo pseudonimo di Karin Elizabeth Dreijer Andersson, la metà femminile degli svedesi The Knife (quella maschile è il fratello Olof), uno dei migliori progetti in ambito elettronico degli ultimi anni, autori nel 2006 del bellissimo “Silent Shout”, che rimane ad ora la loro ultima uscita. Nel frattempo i due si sono dedicati ad una intensa attività live e a portare avanti collaborazioni, come ad esempio quella di Karin con i Royksopp in “What Else Is There?”, brano di una forza eccezionale, anche grazie alla sua voce eterea.
In questo disco, che è l’esordio solista di Karin, si possono sicuramente ritrovare tutti gli elementi già presenti nel gruppo madre, vale a dire un’elettronica di stampo nordico, di grande eleganza ed atmosfera, con ritmiche forse meno marcate, più pop che techno. Il risultato rimane di livello assoluto, con una serie di brani più che convincenti, capaci di creare attimi di emozione e tensione per quasi una cinquantina di minuti, cosa per nulla facile (forse in Svezia un po’ di più, vista la qualità delle sue proposte musicali negli ultimi anni).
Uno dei brani migliori è l’iniziale “If I Had a Heart”, che vaga su drones e atmosfere claustrofobiche e notturne tra Bjork e le Bat For Lashes, accompagnate da un canto sommesso. Sulle stesse lunghezze d’onda è anche l’intro della seconda traccia, “When I Grow Up”, che poi si appiana lasciando maggior spazio alla voce e a una melodia quasi orientale. “Dry And Dusty” ritorna al lato oscuro, con un sottofondo sintetico inquietante che deve qualcosa ai Massive Attack, prima di “Seven”, con ritmiche più decise, il brano più in stile The Knife e adatto per remix riempi-pista. Dopo il mezzo passo falso di “Triangle Walks”, che non riesce mai a decollare veramente, un battito minimale e secco annuncia “Concrete Walls”, che riporta l’ascoltatore in melodie cupe, con voci effettate sopra scenari desolati e avvincenti. Si torna a respirare con “Now Is The Only Time I Know” e “I’m Not Done”, entrambi pezzi caldi e avvolgenti, capaci di colpire già dal primo ascolto, con ancora richiami alla Bjork di una decina di anni fa. Gran finale con gli ultimi due brani, “Keep Streets Empty For Me” e “Coconut”, che si sviluppano in perfetto equilibrio tra melodia e malinconia, per una decina di minuti di eteree emozioni di silicio a coronamento di un ottimo disco.