Fatta la cresta sui pochi cents di mancia elargiti al discreto facchino del piano terra, di ritorno da qualcuno dei numerosi gigs che lo hanno visto impegnato dopo il debutto del 2008, il ventottenne inglese James Yuill prova a bissare con questo Movement in a storm un esordio che era parso assai interessante. Che del vecchio brocardo “2nd is always a fake” parecchi se ne infischino è cosa ormai arcinota ma è davvero difficile assuefarsi alla sensazione caldo/freddo di questo lavoro senza perdersi nella gratuità di certe soluzioni, ancor più se di derivazione illustre. Sebbene infatti l’iniziale Give you away, che non brilla certo per l’originalità del suo synthpop, scivoli leggera senza alcuna infamia né lode, le successive Crying for Hollywood e First in Line riportano in sella un certo profumo di esperimenti già abbondantemente codificati (Voodoo Child, Röyksopp) giusto per citarne alcuni, qui con un piglio più marcatamente folktronico ed una rilettura che parrebbe essere attuale delle belle cose Pet Shop Boys o Daft Punk. Difatti molto distante dall’onestà intellettuale di Postal Service o Seabear, il disco sfoggia così un lungo vestito da sera cucito su ritagli di elettronica e lunghi tacchi acustici. Peccato che, sul più bello, inciampi sugli irripetibili eighties. Speciosa all’uopo appare, infatti, la virata di prua al soffio di un vento da orzare a scotte bordate à la maniera di The Album Leaf, Notwist e Lali Puna. Un vertiginoso saliscendi di cassa dritta e tenere schitarrate di terso indiepop che, sebbene non proprio un fake, lasciano comunque l’ascoltatore (più attento) cogitabondo (si ascolti Taller song). Forse una maggiore metabolizzazione dei pezzi avrebbe di certo giovato agli arrangiamenti. La scrittura è comunque stimolante ma non basta ad elevare Yuill al rango degli eletti, mentre gli assicura già un totale e indispensabile diritto di rivalsa! Lo aspettiamo pertanto.