lunedì, Dicembre 23, 2024

Kelis – Flesh Tone (interscope – 2010)

A quattro anni di distanza da Kelis Was Here, il nuovo lavoro di una delle più grandi interpreti Black contemporanee si presenta come un lavoro dalla compattezza impressionante, il flop del 2006 ci consegnava un’artista matura, capace di trarre frutto da alcuni elementi della lezione Neptunes proprio nel momento in cui decideva di prendersi il controllo mandandoli a fare in culo e sostituendo radicalmente tutta la crew di lavoro con produttori come Shondrae, Will.I.Am, Raphael Saadiq, Scott Storch. Che lo si voglia o meno, Kelis Was Here era l’album riassuntivo di una carriera, quello più libero dalle posture colte di Pharrell e soci e in grado di innestare elementi di rilettura classica su quel terreno impervio che è la stessa vocalità di Kelis, un dispositivo che ha funzionato in un certo modo grazie anche al beatmaking dei Neptunes, pompa e stantuffo legata ad un’interprete che rinunciando alle derivazioni più morbide del soul, aveva sicuramente contribuito a dare una forma precisa a quel sound attingendo alle contrazioni cardiache del rap e alle esplosioni a-melodiche di un vero e proprio gridato. Questa forma di tensione e di rilascio, ad eccezione di alcuni episodi, viene meno in Kelis Was Here, con il disappunto di una buona parte della stampa “indie” Statunitense che non vedeva di buon occhio l’esclusione di un terreno di sperimentazione urbano, zappiano, sghembo come quello introdotto sin da Kaleidoscope, il primo album di Kelis, a favore di un eclettismo che rileggeva il soul degli anni ’70, l’R&B più sputtanato, il Pop Fm (la folgorante e criticatissima I don’t think so, meraviglioso inno stracciamutande tra Joan Jett, gli Ac/Dc e…..Kelis). Eppure era chiaro come Wanderland e Tasty, al di là di un ampio range di episodi folgoranti, cominciassero a rappresentare la sicurezza di una formula che in mano ad un’artista con le idee chiare come Kelis, sarebbe prima o poi dovuta cambiare; che Will.I.Am in particolare abbia portato avanti l’anima più tamarra di Kelis è dimostrato non solo dalle versioni live di Acappella rintracciabili su Yotube, il singolo prodotto da Guetta che ha anticipato l’uscita dell’album, ma ovviamente dalle scelte di quest’ultimo, straordinario, Flesh Tone; una nuova virata a 360 gradi, via i riferimenti più espliciti e meno mediati al Phyllis Sound di un grande album soul come Kelis Was here, via l’eclettismo a tratti un po’ incerto di una raccolta di brani comunque splendida e avanti tutta con il dancefloor più incalzante in direzione apparentemente eurodance, apparentemente perchè se questo è senz’altro l’involucro sonoro più esplicito, di nuovo il lavoro di Kelis con la consueta pletora di produttori risulta un mix-up positivamente letale capace di costruire un sound di sintesi tra soul, dance popolare ed elettronica per certi versi molto vicino ad un album seminale come Futuresex /lovesounds di Justin Timberlake. A differenza delle time machines innescate da tutti i progetti di recupero che ci stanno ammorbando, Kelis si appropria di questo appeal futuribile e lo innesta in un corpo e un’anima soul potentissima, è sufficiente abbandonarsi ad una traccia come 4th of July, una forma saturatissima di electro, house, hip-hop frutto del lavoro con Joshua Coleman; se ascoltiamo con attenzione gli innesti che costui ha fatto per un brano come Love is My Drug di Kesha,  beh, dovremmo capire che la differenza è proprio Kelis a farla. Del resto un brano Oakenfold style come Home, e il doppio David Guetta del singolo e di un brano staordinario come Scream, dimostrano le intenzioni di un’interprete di liberarsi di una serie di clichè e di portare alle estreme conseguenze la ricerca su una vocalità di per se aliena rispetto al panorama R&B contemporaneo. Emancipate recupera tutte quelle influenze latine che hanno attraversato la dance di un decennio e con una forza ritmica compattissima, e se Brave sembra recuperare in modo sottocutaneo lo spirito migliore di James Murphy, lo fa riferendosi ad un universo vicino ai Justice di Gaspard Augé e Xavier de Rosnay. La chiusa Disco ’70 di Song for the Baby, introdotta da un campione Bacharachiano, dimostra ancora come il suono di Kelis sia un sound “sincretico” che non assomiglia alle produzioni “in odore di…”, lo dimostra l’attitudine “punk”, in termini di essenzialità, nella versione live di Acappella registrata recentemente per la BBC e che vi doniamo con questo embedding rubato da Youtube.

Kelis su Myspace

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=7AoZc2bnqpI[/youtube]

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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