Per chi scrive l’essenza più profonda dei Lali Puna rimarrà sempre racchiusa nello splendido piano sequenza che apre Le Conseguenza dell’Amore. Una singola inquadratura con cui Sorrentino ha saputo cogliere perfettamente la raison d’être dell’ensemble di Monaco. Vale a dire, la capacità di provvedere ad un commento sonoro che accompagni i nostri pensieri, mentre ci muoviamo alla scoperta degli spazi intorno a noi. Non solo asettici centri commerciali, metropolitane o complessi architettonici futuristici – come molti potrebbero immaginare dato il background del gruppo – ma anche parchi e viali alberati in una fresca giornata di sole. Nella musica dei Lali Puna l’elemento immaginifico è da sempre presente, esplicito negli acquerelli lirici di Valerie Trebeljahr (“The bird in the trees, singing our mobile melodies, what a sweet sweet world”), oppure ammantato da una frase di tastiera, dalla voce lontana di un carillon. Atmosfere sognanti, ovattate, melodie malinconiche ma mai propriamente ombrose. Brani felpati che scelgono di non attirare l’attenzione, preferendo rimanere defilati sullo sfondo. Proprio per queste sue caratteristiche, il sound dei tedeschi possiede una straordinaria capacità di adattamento rispetto all’ambiente circostante o agli stati d’animo dell’ascoltatore. Non fa eccezione in questo senso l’ultimo Our Inventions, che arriva a sei anni dal predecessore Faking the Books. Non si avvertono significative novità dal punto di vista della composizione, sebbene le chitarre elettriche che avevano fatto capolino nell’ultimo album siano scomparse del tutto. Si tratta semmai di un ritorno alle origini: il modello di riferimento è infatti il sound prettamente elettronico che caratterizzava Scary World Theory. Direttamente da lì sembrano provenire la ninna nanna Rest Your Head (“Know you will sleep allright, rest your head and take a sit beside”), o la ambient screziata di glitch della finale Out There. Su coordinate simili si muovono anche brani come Safe Tomorrow o Future Tense dove però, accanto ai campionamenti e alle interferenze sonore, si avverte una maggiore attenzione verso le dinamiche ritmiche. Proprio questo sembra il retaggio più evidente di Faking the books, nonostante la totale assenza di strumenti suonati. Le percussioni rivestono un’importanza anche maggiore nella dance sospesa a mezz’aria di Remeber, o nei break-beat Everything is Always e Move On. Quest’ultimo – forse il brano migliore dell’intero disco – pone in evidenza l’abilità della Trebeljahr di procedere per metafore (“You’re just a small light, so useless under the sun, no one will recognize you shine”). La title track e Hostile to Me evocano invece il fantasma degli Young Marble Giants (incredibile la somiglianza tra le voci della Trebeljahr e di Alison Statton), a cui i Lali Puna sono sicuramente accostabili, data la comune propensione a confezionare piccole gemme pop d’atmosfera. Alcuni si sono interrogati su quale significato abbia oggi un album come questo, a fronte del mutato contesto storico. Ma simili speculazioni potrebbero dimostrarsi piuttosto sterili, distogliendo l’attenzione di chi ascolta dall’unico elemento che davvero riveste importanza, vale a dire la qualità della musica presa in esame. È pur vero che la scena musicale è cambiata rispetto a dieci anni fa, che la cosiddetta indietronica – termine odioso, come tutte le etichette – non è più una novità. Di conseguenza, è ovvio che Our Inventions non possa suonare innovativo come furono all’epoca Tricoder o Scary World Theory. Tuttavia dobbiamo considerare che il sound di cui si parla è stato forgiato dagli stessi Lali Puna, partendo praticamente da zero. Nonostante l’assenza di deviazioni rispetto al percorso consueto della band, il recente lavoro è un ottimo prodotto, che dimostra tanto mestiere quanta cura per i particolari. Appassionerà chi ha amato i suoi predecessori, ma potrebbe anche fornire un buon punto di partenza per i neofiti. Quel che conta è che i Lali Puna sono tornati, leggeri e freschi come una passeggiata lungo Kastanienallee a primavera.