Prendete l’America degli anni ’20, l’America arsa e assetata dai vincoli del proibizionismo, quella attraversata dai caschetti liscissimi della flappers, l’America delle ghette, delle bretelle e dei sigari sbocconcellati e, infine, l’America del glorioso Cotton Club. Cristallizzate il tutto e proiettatevi quasi un secolo dopo; durante il viaggio raccogliete campionatori, sintetizzatori e sequencer, ed avrete così la materia di Lazlo. Paul Hazard, in arte Lazlo, è un produttore musicista francese, originario di Marsiglia e attivo sul versante della musica elettronica e sintetica in genere.
Il disco d’esordio propone una raffinata rivisitazione dello swing degli anni ’20, pezzi di ispirazione jazz elaborati in chiave elettronica. Quattordici tracce che danno corpo ad un album pieno che si appropria di uno spazio cronologico definito e limitato, suonando per più di un’ora abbondante. Introdotto da Sucette, l’album si snoda lungo i percorsi del beat elettronico, prediligendo suoni corti e compatti che accorciano ulteriormente i soffi di tromba. A dar tono alle battute e a far da cardine fra una traccia e l’altra, ci pensa l’efficacia della drum machine e delle percussioni campionate. Dal crescendo incalzante di Les Yeuz Noirs (Lazlo Remix), fino al cabaret di The Ska Was Pink, Paul Hazard si diletta a creare nostalgiche polaroid dalle luci soffuse. Molto particolare la ricerca in Minor Drags (Lazlo remix) malgrado il minutaggio ridotto rispetto le altre tracce. Meno d’impatto risultano pezzi come Dixie e Ragtime 2.0, troppo piatti e monotoni per sostenere il paragone con i restanti brani, mentre sono da segnalare Stomping At Studio 54 e la riedizione di It Don’t Mean A Thing (If It Ain’t Got That Swing) (Lazlo & N’To Remix) del brano originale scritto da Duke Ellington. Senza dubbio si deve riconoscere a Lazlo l’oculata lungimiranza per aver scelto di lavorare su dei suoni più che vintage, coniugando in tal modo alle personali preferenze dell’autore, le principali tendenze attualmente in voga; il recupero di frammenti passati sottoposti alla centrifuga patinata e accattivante del lounge moderno. Lazlo è difatti questo; un gradevole sottofondo da locale, contenuto e non invasivo ma conciliante quanto basta.
Esiste un gene particolare nella doppia elica dei francesi che li conferma maestri innati nel campo della musica elettronica e che li rende capaci di produrre sequenze ammalianti benché dichiaratamente posticce. Lazlo si accaparra un post di tutto rispetto nella lunga lista che si potrebbe stilare.