Matthew Dear non è di certo un novellino, produce musica elettronica dal lontano 2000, ben dodici anni fa. E’ cresciuto nella scena techo di Detroit diventando uno dei portabandiera della Microhouse. Ma, dopo qualche anno a cavalcare l’onda, il nostro si è stancato ed è tornato sul mercato con questo putpourrì di sonorità. Più vario del solito ma anche più fiacco. A partire da maestri del genere come Brian Eno, Brian Ferry e David Bowie (che costituiscono l’amalgama concettuale dell’album) Beams si sviluppa lungo le tortuose strade dell’electro-pop. Dall’ intelligent dance music di ‘Her Fantasy’ si passa al basso incalzante e alla voce effettata a la Kraftwerk di ‘Earthforms’. Si continua con gli anni ’80 e i richiami agli Art Of Noise di ‘Headcage’ e il lounge sensuale da tacchinaggio per i bar di Corso Sempione di ‘Overtime’. Per non parlare di richiami caraibici e delle tastierine della più becera disco music di ‘Up & Out’, della versione danzereccia di uno space-pop di quart’ordine come ‘Ahead Of Myself’ e il Tom Jones sotto anfetamine che sembra cantare ‘Fighting Is Futile’. Intuizioni folli si mischiano a trovate interessanti e riempimenti di maniera. La confusione regna a tal punto che non si capisce se questo sia un album di passaggio, una pubblicazione buttata lì per racimolare un po’ di denaro o semplicemente un tentativo fallito. In qualsiasi caso lo intendiate è troppo lungo e ingarbugliato perché lo si possa gustare appieno. Al massimo si possono trovare alcune tracce, le proprie preferite (c’è l’imbarazzo della scelta) e skippare il resto.