venerdì, Novembre 8, 2024

Royksopp – Senior (Wall Of Sound/Pias/EMI – 2010)

Si evince già dal titolo una certa ambizione di maturità nel duo norvegese ormai al suo quarto lavoro in studio (più diverse altre uscite). Ambizione che tuttavia tradisce, almeno parzialmente, le aspettative. Forse il periodo trascorso dal precedente Junior (solo un anno e mezzo) è stato troppo poco per rimuovere alcune contraddizioni insite nello stile già abbastanza eterogeneo della band. E per cancellare atmosfere fondamentalmente positive di certo fin qui peculiari, anomale in contesti nordici. La cupezza, l’ introspezione, che dovevano lasciar emergere il “dark side” dei Royksopp in questo lavoro (e quindi ricollocarli nel loro ambiente geografico e musicale naturali) sono solo di facciata. Anche se, il tutto nel suo insieme riveste un certo fascino. Il sospetto principale è che questi ragazzi abbiano “risciacquato i panni” in Francia, laddove, diversi anni or sono (si parla di decade ormai) colleghi come gli Air in primis (la traccia Senior Living pare scritta dalla ditta Dunckel & Godin) avevano sintetizzato simili suggestioni (ma anche il Garnier dei pezzi lenti e soffusi o anche l’ inglese e più recente Nathan Fake). La malinconia è mixata a poca spontaneità, e a molta citazione. Laddove si cerca rabbia si trova più che altro tenerezza e la ricerca di commozione si sposa con un languido patetismo. Il crepitio (cliché nostalgico ormai convenzionale) usato per fare da collante e fondale tra e nei pezzi del disco, soprattutto unito a influenze cinefile (colonne sonore soft core anni 70 e horror anni 80) rimandano specificatamente a Bristol e ai Portishead anche se, tuttavia, la scelta di bandire assolutamente la voce è radicale e dunque coraggiosa. Ma alla lunga stanca. La noia, sempre in agguato, riesce ad essere non facilmente arginata da molto lavoro di mestiere sugli arrangiamenti e da un certo gusto nella composizione, decisamente buoni entrambi, eppure niente di nuovo all’ orizzonte. Ancora Glass e Eno per citare possibili accostamenti, anche se è fin troppo facile trovarli in numerosa musica elettronica contemporanea. Gente come Biosphere, conterraneo dei nostri, si avvicina solo in certe rarefazioni che sono forse i momenti più belli del lavoro, dandogli apertura e respiro. Spicca, tra nessuna traccia “portante” Forsaken Cowboy, esperimento riuscito di country, ambient e esotismo alla Piero Umiliani. La glacialità si trova infine solo nell’ ascolto, per un album solido per costruzione, ma di scarsa emotività.

Michele Baldini
Michele Baldini
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