martedì, Novembre 12, 2024

The Rapture – In The Grace Of Your Love (Dfa / Modular, 2011)

Più di un dubbio e qualche fondato timore era insorto a leggere i rumors sul nuovo disco dei The Rapture: quale svolta avrebbe impresso ai tre newyorchesi l’affidamento della regia del suono a Philippe Zdar (componente dei Cassius e produttore dei Phoenix)? Accantonato definitivamente il punk funk schizoide di Echoes (che comunque risale a otto anni fa) e dopo un album di transizione, il nuovo corso della band vuol dire synth, elettronica, digitalizzazione come se piovesse e la scoperta ambizione di ambire ad essere popular, a tutti i costi, fin dal titolo. Il matrimonio fra il French touch marchio di fabbrica della produzione artistica e gli incisi spezzettati per i quali avevamo apprezzato Luke Jenner e soci (allo stato attuale, Gabriel Andruzzi al basso e aggeggi vari e Vito Roccoforte alla parte ritmica) va a totale ed esclusivo vantaggio del primo, così da far finire, inevitabilmente, le chitarre nello sgabuzzino. La svolta verso un sound per orecchie discotecare abituate all’appiattimento acustico arriva subito con l’epica retorica di Sail Away, gonfia di sintetizzatori all’inverosimile e con Jenner in perenne mezzo falsetto ad imitare niente meno che Bono, seguita a ruota dall’imbarazzante Miss You, tutta handclapping puntato che echeggia il Mika (!!!) di Grace Kelly. In un improvviso attacco di nostalgia per la Grande Mela, in Blue Bird i Rapture si lanciano in cori a tre parti in stile Animal Collective, dei quali però non possiedono né la carica innovativa né la ricercatezza stilistica, e ritornano prevedibilmente sui loro passi con la fisarmonica di Come Back To Me, che vorrebbe essere tanto francese ma che, con tanto di basso tonitruante, assomiglia terribilmente ai party sudaticci della riviera romagnola. Per lo meno la title track rivela una chitarra che sgrana arpeggini ascendenti su un giro di basso trito ma efficace. Niente di che ma almeno è la dimostrazione che quando suona davvero, la band salta decisamente di livello. Il suo più grave difetto è cercare di sparare nel mucchio di mille cliché differenti (più o meno tutto ciò che ha viaggiato sulla cresta dell’onda del clubbing degli ultimi dieci anni), senza che nessuno di essi diventi mai stile e con un’autentica, sconcertante debolezza sul versante melodico. Altra prova ne è l’ibrido tra Phoenix e Beyoncé di Never Gonna Die Again, con la melodia che è quasi un plagio scoperto di One Nation Under A Groove, passando per l’inutile Roller Coaster (ma perché quella voce à la Morrissey?). Ancora gli U2 (ma sarebbe più corretto dire Coldplay) in cassa dritta fanno capolino in Children, ma nel trittico finale l’album rialza parzialmente la testa, con i ribattuti tastieristici di Can You Find A Way?, la buona tenuta del singolone How Deep Is Your Love? (che sfonda i sei minuti bilanciando la monotonia del cantato con un sax imbizzarrito a sufficienza) e il sorprendente brano di chiusura (It Takes Time To Be A Man): una soffice e trattenuta ballata quasi soul, con linee di piano e chitarra che si rincorrono a ripetizione, che sembra incantarsi e avvolgersi su se stessa, fino ad aprirsi in squarci corali che danno l’impressione di aver ascoltato tutt’altro nei tre quarti d’ora precedenti. In sintesi, senza pretendere che i Rapture fossero dotati dell’innata genialità citazionista dei Daft Punk o della spontanea tamarra simpatia di Justice o Ratatat, era forse sufficiente tentare uno sforzo maggiore in fase di scrittura, invece di puntare esclusivamente su un nome in fase di produzione e su un sound che tenta smaccatamente di arruffianarsi un pubblico diverso rispetto a quello della scena prettamente alternativa. Forse così arriveranno più soldi (e, finora, anche inaspettate lodi dalla critica), ma anche una buona fetta in meno di credibilità.

 

Francesco D'Elia
Francesco D'Elia
Francesco D'Elia nasce a Firenze nel 1982. Cresce a pane e violino, si lancia negli studi compositivi e scopre che esiste anche altra musica. Difficile separarsene, tant'è che si mette a suonare pure lui.

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