Dopo la separazione dalla compagna di vita e di musica, Ryan McPhun cambia casa dalla Nuova Zelanda alla Norvegia e accoglie, per il nuovo lavoro di The Ruby Suns, di cui ormai è il titolare quasi esclusivo, la mano esperta di Chris Coady, già all’ingegneria sonora con Beach House, Grizzly Bear, Gang Gang Dance. Coaday ha mixato Christopher, il nuovo album di McPhun, a NYC e in circa due settimane; l’uscita, prevista per fine Gennaio su Memphis industries, e per il mercato Statunitense su Sub Pop, viene anticipata da un singolo diffuso durante l’ottobre 2012 e intitolato Kingfisher Call Me; brano che si porta dietro l’imprinting di Coady ben inserito in quella che è stata l’evoluzione sonora dei Ruby Suns fino a questo momento, ovvero un lento scivolare del pop psichedelico da “spiaggia” con tutti i riferimenti del caso, verso le sonorità di un’elettronica portabile, minimale. Ed infatti, rispetto al precedente Flight Softly, in questo nuovo lavoro gli strascichi degli esordi vengono quasi completamente cancellati, a favore di un synth pop barocco e con alcune pacchianerie ottantiane (brani come Rush, Jump, Boy ) da far pensare in parte alla forma ibrida del primo Thomas Dolby (per capirsi, quello prodotto da Andy Partdrige degli Xtc); non è casuale che si sia parlato un po’ ovunque (a partire da Pitchfork) di una maggiore vicinanza ai suoni di band come Yeasayer almeno a partire da Flight Softly; se il riferimento è al nuovo corso della band di Chris Keating, siamo assolutamente d’accordo; Christopher rientra perfettamente in quell’effetto macchina del tempo che affonda le sue radici nell’elettronica di consumo anni ’80, sia essa quella di derivazione italo disco, la wave romantica degli ABC o la fusione tra organico e inorganico che omologa il suono di quelle band avventuratesi in una rilettura delle influenze afrobeat, fatta attraverso questa lente prismatica. Non è chiaro se essersi sbarazzato completamente di Brian Wilson abbia giovato alla scrittura di Mcphun, certamente Christopher è un album più compatto, diretto, divertente ma anche stratificato rispetto alla melensaggine “indie-nerd” degli esordi; oltre al contributo, assolutamente presente e tangibile, di Chris Coady, che gioca molto sulla qualità “testurale” dei suoni, potrebbe trattarsi semplicemente di una questione di preferenze, o semplicemente di un settaggio diverso sui parametri di una personale macchina del tempo; altro decennio, altro viaggio, ma l’effetto nostalgia non cambia.