Senza nulla togliere al capillare lavoro di sintesi che i Tortoise avrebbero operato sulla musica strumentale di un intero decennio giocandosi passato e presente in un corpo solo e una legione di anime, Beacons of Ancerstorship come molti degli ultimi lavori dell’ensamble di Chicago suona già vecchio e irritante, tanto da far rimpiangere il Mike Oldfield di Incantations come un esempio per lo meno onesto nel mettere insieme truffa, paccottiglia e minimalismo per le masse.
A poco serve il concetto di “classe”, se i soliti Morricone e Barry vengono smembrati come se fossero una banalissima libreria di loopology, se l’unico brano che smuove qualcosa [ Giants ] lo fa percorrendo una strada già battuta e tutto sommato esaurita dai Trans Am di The Surveillance.
Tragico trovarsi in piena deriva post-post-post modernista e farsi uccidere dalle schegge; è come ascoltare quella fusion di “papà” con l’aggravante di illudere su una presunta diversità solo perchè l’accento è normativamente spostato su timbri, volumi, sezione ritmica, ripetizione.
Il fatto che The Fall of Seven Diamonds Plus One rimandi, senza pensarci troppo sopra, ad una pantomima dei Wall of Voodoo ci salva dal non dover ricorrere alla solita retorica Morriconiana e racconta meglio di qualsiasi altra cosa la trappola letale in cui sono caduti i Tortoise. Meglio davvero rispolverare i brutti suoni di Steve Fisk e dei primi Pell Mell, sempre di archeologia si tratta, ma permette di immaginarsi uno schermo costruito con un lenzuolo.