Anthony Pateras tenta, al più invano, di mettere un po’ d’ordine alla sua sterminata produzione con questo box quintuplo riassuntivo, riunendo una serie di registrazioni che interessano questi suoi primi dieci anni di attività solista. Ad emergere sono solo alcune delle facce del compositore australiano. Ne risulta un lavoro non del tutto completo ma ugualmente valido, sia come introduzione per neofiti, sia come interessante ricognizione per iniziati.
I 5 cd si presentano suddivisi per area tematica e, quindi, modalità compositive, come titolano esplicitamente anche i singoli volumi. Iniziando con il primo Chamber & Orchestral, che infatti mette in fila cinque composizioni per quartetto da camera ed orchestra, registrate tra il 2009 ed il 2011. La grammatica del giovane maestro, è già qui tutta espressa da lavori che rompono col compassato accademismo, in favore di un approccio più libero, più disincantato, persino più sardonico (da notare i titoli, se non la sola disinvolta presenza scenica dello stesso musicista), che recupera influenze e suggestioni da musiche altre: fossero esse mutuate dalla ricerca sui limiti degli strumenti a fiato del free jazz o dalle percussioni della tradizione asiatica o dall’elettronica più comune all’avanguardia soft o pop, arrivando a lambire lo storico Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza. Del resto nella sua sterminata discografia le collaborazioni infrageneriche sono una costante da sempre.
Il secondo cd offre due lunghe composizioni (Chasm suddivisa in tre parti e la più breve Delirioso) per piano preparato. Due studi sulle infinite possibilità timbriche dello strumento che di volta in volta, nei vari atti del concerto, assume svariate sembianze sonore sino ad assumere impossibili vesti parasintetiche e che, in Delirioso, sconfina nel vero e proprio gamelan balinese.
Ugualmente dedicato al pianoforte anche il quarto volume con due titoli speculari, Block Don’t Bleed e Bleed Don’t Block, dove ad essere messa in scena è una destrutturata, massimalista, variazione di pseudo ragtime, dove il nostro da sfogo ai propri istinti virtuosistici, producendosi in un paio di funamboliche esibizione al fulmicotone, suggellate da un meritato scrosciare d’applausi.
Pipe Organ & Electronics titola invece il terzo volume della raccolta, introdotto dagli interminabili quaranta minuti di Architexture: un bordone d’organo, dove a levarsi sono le innumerevoli inflessioni dell’onda sonora, che passa da profondità abissali ad insostenibili acuti, per una divagazione ambient non lontana da certi esperimenti di Riley.
Keen Unknown Matrix è invece una composizione in tre parti basata sulle modulazioni di un synth analogico. E’ ovvio che, dal momento in cui, con un banale software o, chissà, con un app scaricato sul cellulare, un qualsiasi ragazzino potrebbe produrre (e si può dire che di fatto produca) gli stessi identici suoni, bisognerà osservare il tutto nell’ottica di una musica dalle proprie esatte specificità, che non può più definirsi meramente sperimentale o d’avanguardia ma che si esprime attraverso delle modalità ormai classiche, che hanno senso esclusivamente se considerate frutto del proprio contesto di pertinenza (la colta contemporanea). Solo così si può comprenderne l’esercizio minimalista su timbrica elettronica ed intervalli, frequenze e silenzi, molto attento seppure frutto probabilmente dell’improvvisazione.
L’ultimo cd è dedicato al ritmo (Percussion). E’ forse la sezione più personale del cofanetto, laddove emerge prepotentemente, e non potrebbe essere altrimenti, l’anima più giocosa di Pateras. Cinque composizioni distribuite su diciotto tracce, tra lunghe parentesi e brevi passaggi di pochi secondi; in cui la molteplice gamma espressiva delle percussioni viene esplorata in ogni suo anfratto; in un susseguirsi ed inseguirsi di piccole e grandi moduli ritmici, che, ancora una volta, paiono volersi richiamare ai suoni della tradizione della musica ritualistica asiatica o anche africana. Ripartendo così dagli epocali esperimenti in tale direzione fatti a loro tempo da Arvo Pärt e Steve Reich. Dei quali, in definitiva, il nostro risulta essere uno dei più quotati ed originali continuatori.