domenica, Dicembre 22, 2024

Archive – controlling crowds – (Warner – 2009)

archive_controllingcrowdsClassificare, catalogare, ripartire sono operazioni che devono essere lasciate da parte durante l’ascolto del gruppo di South London.
Svincolarsi dalla genuina valutazione di disco Trip Hop e riuscire a distinguere e stimare il lavoro di Darius Keeler e Danny Griffiths che da quattordici anni, insieme al resto del gruppo, lavorano intensamente per un progetto musicale che non ha precedenti. Dall’acustica all’elettronica, passando dall’ambient ad un rock progressivo delicato e ponderato. I loro dischi, sostanziali e tutt’altro che superficiali, ci fanno entrare in una dimensione sonora nuova. Per chi è addestrato all’ascolto di ritmiche e armonizzazioni stile Radiohead e Pink Floyd non avrà difficoltà ad apprezzare i loro lavori che non hanno mai deluso gli appassionati dell’esistenzialismo brit e che si incrociano con vene sentimentali ed emotive tutt’altro che ordinarie. Il titolo pare richiamare alla mente una sorta di controllo della mente, un controllo folle tra la luce della razionalità e il buio dell’inconscio; o viceversa (dipende dai punti di vista). Una sorveglianza di se stessi dentro il controllo degli ordinamenti e delle strutture. Scavalcano la linea di confine e si gettano sulla stesura di testi introspettivi relazionati all’influenza del sistema sui corpi. Non a caso celebrano nel singolo Bullets, che presenta l’album in questione, la responsabilità personale.
Il disco instaura fin dall’inizio una sonorità particolarmente limitrofa ad un onoranza lugubre ma è appunto un’illusione, una sorta di contestazione verso personalità che si perdono e si impauriscono lasciandosi trascinare in una triste realtà oscura e sconsolata. Un reclamare vita a tutti i soggetti che perdono la facoltà di pensiero, incitare a volare attraverso il contenuto lessicale e sonoro.
Ed è su questa scia che prosegue il disco, alternando poetica e ritmi regolari, quasi come proporre ed ambire ad un risveglio della coscienza. Ma è qui che viene il bello, il disco cambia ritmo e si evolve in una seconda parte che va dal brano Collapse/Collide fino a Whore.
Too late, they hate è l’incipit, è la denuncia forte, è la delusione di un ritardo che ha collassato, che crea indebolimento. Una correzione delle personalità. Un annullamento dell’individualità poiché si è rimasti schiacciati da un modo di vivere che non è umano. Un entità suprema ma concreta ha intaccato le singolarità e gli animi gentili. Ha creato degli automi che rigettano i sentimenti.
Ed è su questa scia che prosegue la seconda parte che si sviluppa e si conclude in una terza direzione che inizia non a caso con Chaos e si conclude con Funeral.

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