Ritorna la sigla di Luke Wyland che con il suo quarto lavoro approda ad una forma post-tutto che può vantare, nella sua ansia riciclatoria, personalità e inventiva davvero poco comuni. Accompagnato da uno stuolo di musicisti comprimari, Wyland dà luogo ad una giostra impazzita con all’interno una serie infinita di suggestioni e colori, triturando e ridonando in forme inconsuete, tra gli altri, tanto i King Crimson quanto i Tortoise, i Broken Social Scene, i Jaga Jazzist o Mice Parade; finanche Terry Reiley nelle continue reiterazioni circolari o Michael Nyman nelle marine minimaliste per piano e (si direbbe) synth di The Veil e nelle sospensioni neoclassiche per piano solo di Go Slow ed Old Friend; o addirittura Wim Mertens nelle ciclicità barocche di Get Alive. E Beirut, giacchè, quando canta Luke lo fa esattamente come Zach Condon (Crazy Idol). Il tutto ridonato in una forma assolutamente organica e funzionale ad un formato avant pop che è comunque peculiare e nulla ha a che fare con gli accostamenti azzardati e, francamente, senza respiro di Mr. Bungle (se qualcuno ne parla ancora…) e simili.
L’attacco ipercinetico di Epic riporta alla mente lo Ian Williams ai tempi gloriosi dei Don Caballero, dove la matematica filtra frippertronics emotivi supportati da archi in crescendo, in una mescolanza di toni freddi e caldi, con in nuce un tropicalismo che nell’economia del disco è un fiume carsico che riaffiora più e più volte. Sino a rivelarsi, poi, del tutto nella caotica samba mutante OJ, che tra organetti distorti, tiratissime scale di piano e ritmiche sintetiche, dice Tom Zè (circa Danç-Êh-Sáad o Estudando O Pagode) ad ogni nota. Solid Gold è invece una teoria post-post-rock su base afro disco che riporta alla mente i poco celebrati, ma assolutamente da riscoprire, Remember Remember coi quali la band di Portland ha più di una similitudine. Don’t Lie Down chiude egregiamente essendo un gospel cosmico a battuta lenta, per chitarra blues, organo, voci angeliche ed accenti marziali di batteria.
Both Lights è un disco spiazzante, tendente ad una sana confusione, che finge continuamente di contraddirsi, creando invece un dialogo continuo tra micro e mega, vuoti e pieni; sostenuto da una struttura interna coerentissima, che richiede attenzione per essere riconosciuta ma capace anche di catturare a primo ascolto. Ossimorici.