AU, “Ehi You” è il richiamo alticcio ed euforico di quel di Portland (Usa). E che mai, nell’ultimo decennio, vi fu terra più feconda di talenti di questa, appare cosa assai facile da dimostrare, a partire da quel folk intimista e strampalato del compianto fu Elliott Smith piuttosto che al freak appeal dei Dandy Warhols. Come obliare poi sul sentiero indieano dei The Shins e Parenthetical Girls o sugli spasmi rock di The Decemberists e The Gossip? Insomma davvero un prisma di forme e colori. Un caleidoscopio di suoni che documenterebbe, senza smentita alcuna, quanto il vento delle novità stia soffiando, ormai da tempo, proprio in quella direzione.
Verbs. Verbi ridondanti di eclettismo e nonchalance compositiva che sembrano voler coniugarsi, sin dall’inizio, secondo una declinazione “altra” per note, ritmi e quant’altro. Leggo “All my friends” “are animals” (rispettivamente traccia uno e due): ascolto echi di una sbronza post-party in cui ancora pulsano gli effetti delle droghe in testa e si annaspa nel lercio e schifoso puzzo del nostro vomito ricordando vagamente di una connessione tra i nostri sensi e le nostre membra.
Avanguardismo? Genio, direi, è più appropriato!
Del resto, è cosa ancora più facile, oggi, deglutire siffatte “robe” giacché si elogiò al ciclone del collettivo animale e si credette, sebbene solo per un attimo, che tale sperimentazione potesse prendere il sopravvento sull’estetica. Ma così non fu, grazie al cielo! Ed ecco quindi cos’è che appare dannatamente meno facile da dimostrare. Cos’è infatti che affastellerebbe le menti malsane ed infauste di tali musicisti in piena digressione artistica ad echeggiare, in tal guisa, i suoni del mondo? Au è infatti un collettivo di musicisti e “musicanti” (è questa la ricetta della nonna) con la stessa prolificità di un coniglio. Luke Wyland, il nucleo. Poi Jonathan Sielaff e Mark Kaylor che ne avrebbero ben donde di definirsi “sperimentali” oltre un nugolo di collaborazioni più o meno residenti che pescano a piene mani nell’elite dell’avantpop (Jackie-o Motherfucker, Yellow Swans, Parenthetical Girls, Evolutionary Jass Band, ecc).
La sbobba che ne viene fuori è un canto di sirene a cui nulla possono i tappi di cera. Tratti indelebili di Man Man in “rr vs d” ma più soffici ed eterei senza la componente tomwaitsiana. Panda Bear più riflessivo e meno danzereccio o MüM senza una spina ove attaccare synth ed effetti (All myself, Sleep, Two Seasons).
Insomma, l’incedere verso un tripudio di creatività è deciso e senza tentennamenti. Io mi lascio trasportare senza tuttavia avvertirne stupore. Tutto mi è congeniale. Amori estivi? Non proprio!