Che Beatrice Antolini si fosse spogliata dalle influenze da Saloon , era chiaro sin dal 2008, quando con A due si era lasciata dietro qualsiasi elemento che potesse far pensare ad alcuni suoni dei Jennifer Gentle (nominati non a caso, proprio perchè vi ha collaborato). Che una musicista e artista in senso compiuto potesse prendere le distanze e compiere un percorso che fosse veramente “da un punto A ad un punto B”, lo avevamo compreso con BioY. Non è stato necessario dire di un’accostamento troppo azzardato a Gwen Stefani che subito la Antolini ha dirottato il suo percorso artistico per arrivare ad un punto C antipodale rispetto alle scelte estetiche e strutturali attraversate sin qui. Chi si è già informato saprà che Vivid, già dal nome, sceglie una linearità che forse era impossibile da sperimentare nei lavori precendenti.
Eppure l’immaginario evocato parrebbe accostare Vivid a BioY: un pop spregiudicato, che strizza l’occhio a suoni e modalità compositive affermatesi nel mainstream (nel 2010 We’re Gonna Live che guardava alla Stefani, riuscendo a migliorarsi, oggi Pinebrain che si lega ai The Knife, mentre Transmutation coglie la quiete dei Iori’s Eyes).
Un po’ come per David Bowie (pensiamo ad album nodali ma considerati da certa stampa “commerciali” come Lodger, Let’s Dance…) dove ad ogni suo album si è sempre verificato un cambio di ecosistema, parola usata recentemente anche da Beatrice, Vivid gioca con i generi di consumo in modo liquido e non statico.
E così etichetta in proprio (QuiBaseLuna, l’ecosistema di cui si parlava), video simbolista, promozione a sè stante, professionalità mobilitate per tutto il percorso del disco. Una strada diversa, dove l’equipaggio è proiettato verso una meta precisa e immaginata da tempo, mentre a terra la critica analizza le foto del terreno lunare e cerca le magagne.
Al contrario, un tale indirizzo andrebbe premiato e incoraggiato, se la destinazione è precisa e non pretende lungaggini e stop insopportabili (sotto questo punto di vista i Baustelle si sono arenati a metà percorso). Vivid chiarisce maggiormente cosa viene suonato dalla Antolini e dalla sua band, gli arrangiamenti orchestrati danno una corposità diversa rispetto all’insieme delle tastiere, divertenti e caotiche.
Test of all potrebbe essere stata scritta da Sting nei suoi fumosi anni ’80, come pure Vibration 7 ispirata da Every Little Thing She Does It’s Magic, Now è pop d’autore molto generico ma importante. Cobra addirittura appartiene per metà alla Antolini e per metà a chissà quale oscura popstar sudamericana. My name is an invention è un pop leggiadro come mai è stato tirato fuori dalla cantante maceratese, contraltare di tutta l’oscurità presente in ogni episodio.
Se BioY aveva il groove giusto per ballare, Vivid cresce insieme ai suoi ascoltatori nella direzione di un pop d’autore in grado di bilanciare una forte e comunicativa capacità di sintesi con incursioni più acide a ravvivare il tutto. La Antolini prosegue con le esplorazioni spaziali, esaminando la Terra nella sua completezza, che piaccia o dispiaccia a chi quel piccolo pianeta lo abita.
[box title=”Beatrice Antolini – Vivid (QuiBaseLuna, 2013)” color=”#5C0820″]
Pinebrain | Open | Vertical Love | Transmutation | Test of All | Now | Vibration 7 | Cobra | My Name Is an Invention | Happy Europa [/box]