Qualche anno fa Bobby Conn, al secolo Jeffrey Stafford, intervistato dichiarò di concepire ogni suo disco come una critica all’America contemporanea. Bastano un paio di versi da Govt (“You can keep your Nobel Prizes/We just want our country back”) per capire che il trend del folletto di Chicago non è affatto cambiato. Dietro all’apparente orrendume della copertina (“Best Sleeve of The Week” per NME) Macaroni cela più di una sorpresa, ricongiungendosi con l’ottimo King for a Day (Thrill Jockey, 2007) e portando materiale inedito in casa Fire, che solo due anni fa ospitava una ristampa dell’iconico Rise Up! e già mostra una completa conversione alle manie dissacranti di Conn: «Musician, misfit, culture warrior and bullshitter», recita la descrizione dell’artista sul sito dell’etichetta.
L’ex-Anticristo in lustrini, sempre glam e sempre abile promotore di se stesso, confeziona un disco di pop rock vagamente psichedelico che non vuole mai arrestarsi sulla stessa pista: tutti nativi di Chicago, e tutti cresciuti nel nome del punk e della new wave, i suoi Burglers mettono su un freak show altalenante, che scuote l’apatia hipster e i facili sentimenti, che si presenta facile facile come un piatto di macaroni cheese (“so smooth and creamy/Microwave easy”), ma imprevedibile al momento giusto. Lo confermano gli interessanti pasticci di Face Blind, trainata da un robusto basso e stemperata tra falsetti e malinconici archi, o della camaleontica Can’t Stop Th’ War, che apre nel mezzo di atmosfere “manifestanti” e trascina la folla con un rock turbolento e assieme parodistico (“Sur le pont d’Avignon l’on y danse, l’on y danse!”).
Anche quando la portata è più insipida (More That You Need) Conn riesce sempre a salvare la cena con qualche condimento ad hoc, facendo delle sue nostalgie 70s una miniera di creatività, con il violino elettrico della moglie (e Burgler) Monica Boubou a far da guida spirituale (notevole l’incontro quasi casuale nel divertissement di Afterschool). Le canzoni di protesta di Bobby non nascono accorate, ma ossessionate dal programmatico tentativo di sovrastare il serio col faceto, di mettere insieme ottima musica e bullshit, importanti in egual misura. La sua formula continua a funzionare. Che il mainstream non se ne sia mai accorto per davvero non è altro che l’epilogo della parabola.