Il tuo amore mi spinge sempre più in alto. Fin dall’incipit di Snow Ed Simons e Tom Rowlands colgono tutti di sorpresa. Nessuna dinamica d’impatto che assecondi la ricettività dell’ascoltatore. Nessuna traccia di ritmo. Per un minuto buono i due ci abbandonano ad una sinfonia di feedback e interferenze elettroniche, poi la voce soave di Stephanie Dosen inizia a recitare il mantra che guiderà la nostra lenta ascensione verso le sfere celesti. Uno strale lisergico che si perde in un’avvolgente nebulosa di amore cosmico, misura per tutti i brani che vanno a comporre questo splendido Further. Opera che in effetti rappresenta un atto di devozione, giunto inaspettatamente e proprio per questo tanto più gradito. Le ultime prove dei Chemical Brothers, benché baciate dal consueto successo commerciale, lasciavano intuire un drastico calo di ispirazione che col tempo avrebbe potuto far scivolare i due verso l’oblio. E invece i nostri si affacciano oggi sul mercato con quello che è probabilmente il loro miglior album da dieci anni a questa parte. Lasciate da parte le collaborazioni illustri, Ed e Tom si concentrano sulla composizione: riscoprono l’amore per la melodia e le atmosfere psichedeliche degli esordi, rivedute alla luce di un’attitudine – se possibile – ancora più krauta e metafisica. Con Escape Velocity raggiungiamo il mondo delle idee perfette e veniamo travolti dalla sua incommensurabile magnificenza. Una maratona di 12 minuti in cui A Rainbow in Curved Air viene riletta dai Tangerine Dream, con in più il senso del tempo. Arpeggiatori impazziti che non si ascoltavano dal 1971. Una cassa in quattro che sembra non arrivare mai e che invece arriva, ma sempre quando meno te la aspetti. Techno spirituale, musica che l’orecchio umano non dovrebbero nemmeno udire. Non sbagliava Jaki Liebezeit quando diceva che soltanto alle macchine o agli dei dovrebbe essere conferito il diritto di fare musica: se l’Onnipotente fosse realmente un DJ e l’Eden uno sconfinato dance floor queste note risuonerebbero in eterno. Another World presenta un pattern vagamente R’n’B, pervaso da energia ultraterrena. Donna Summer assunta in cielo al posto della Madonna, grazie all’intercessione di Giorgio Moroder. Strumentazione e dinamiche rock caratterizzano Dissolve, in cui Tom Rowland si cimenta per la prima volta al canto, emulando il suo eroe Bernard Sumner. Una musica che sa di celebrazione, un inno sacro intonato da centinaia di cherubini infuocati. Gli Echo and the Bunnymen alle prese con un brano dei Neu!, in preda ad un trip particolarmente potente avrebbero suonato esattamente così. Horse Power interrompe bruscamente la beatitudine del nostro soggiorno: rappresenta la perdita dello stato di grazia, la rapida caduta di Lucifero verso le profondità infernali. Nell’economia complessiva del disco costituisce un’eccezione e si ispira piuttosto a certe produzione passate del duo (Hey Boy Hey Girl, neanche troppo velatamente). Una techno ossessiva e paranoica in cui i nitriti, più che richiamare le “centrali di energia” celebrate dal Ferretti montanaro, sembrano fare riferimento all’anestetico per animali più amato dai ravers di tutto il mondo. Un breve intermezzo melodico, più in linea con il feeling generale dell’album, lascia intendere che c’è ancora spazio per la redenzione e dalla ketamina si passa rapidamente all’ecstasy. Swoon è il singolo definitivo: sei minuti di pace e amore che rivisitano il lato meno nobile degli anni ‘90. Eurodance epurata dei suoi aspetti volgari e immersa in una vasca d’acido. Ricordati di innamorarti, nient’altro importa. Due batterie acustiche si intrecciano per dare vita alla micidiale base ritmica di K+D+B: emerge il mai nascosto amore del duo per i New Order di Power Corruption & Lies, ed è impossibile non abbandonarsi alla commozione mentre il pezzo si innalza verso il cielo. In chiusura, Wonders of the Deep è l’ennesima traccia Rock, dove fanno capolino addirittura le chitarre. Non è chiaro se il pezzo voglia evocare il lento sprofondamento di un sottomarino negli abissi oceanici o l’ascensione di un modulo interstellare verso lo spazio profondo, ma in fondo poco importa. Sono entrambi luoghi in cui la deprivazione sensoriale pressoché totale lascia la mente libera di abbracciare in toto la pura bellezza del creato.