giovedì, Novembre 21, 2024

David Lynch – Crazy Clown Time (Sunday Best, 2011)

Non è cosi semplice avvicinarsi al territorio sonoro di Crazy Clown Time e se dovessimo seguire istintivamente la traccia suggerita dal suo stesso titolo come prima indicazione, questa si auto-cancellerebbe dentro quel paradosso temporale che genera immagini, suoni e parole come frammenti di un universo realisticamente palindromo.

In fondo gli elementi che ci permettono di parlare del “primo” album a nome David Lynch erano già vivi, disseminati e fatti a “pezzi” lungo tutto il sodalizio dell’autore Americano con Angelo Badalamenti, nella meticolosa cura artigianale che modella il sound design dei suoi film e soprattutto nell’attività di produttore esecutivo per una serie di lavori che si situano tra “sintesi” pop e aperture droniche, ovvero entro quell’oscillazione cognitivamente vertiginosa tra il suono acusmatico e quello visualizzato, giusto per riprendere un’intuizione di Michel Chion sulla percezione sonora.

Basterebbe, anche solo per gioco, mettere allo specchio il lavoro sulle liriche fatto per la Julee Cruise di The Voice of Love con quello di sound designing realizzato per il progetto Lux Vivens nella reinvenzione del cantus firmus Von Bingeniano interpetato da Jocelyn Montgomery e prodotto da Lynch nel 1998, dieci anni esatti dopo il Te Deum di Roberto Juri Camisasca, album che vive della stessa infinita e circolare distanza dalla sorgente musicale a cui si riferisce.

Basterebbe applicare questa rifrazione per infrangere lo specchio, perchè se il racconto che imprigiona Susan, Betsy e Julee nel testo di Kool Kat Walk scritto per la Cruise risulta sorprendentemente vicino alla spirale temporale che risucchia gli abitanti della Crazy Clown Town nella title track del nuovo lavoro di Lynch, questo è per un processo che fa collassare apertura infinita e sintesi in un terreno comune, sia esso lo spazio senza fondo generato dalla parola entro i confini circoscritti da una durata “pop”, o al contrario l’annichilimento di ogni lingua in un’estensione pre-semantica del suono. 

Chi si è allora sorpreso per le caratteristiche concise di Crazy Clown Time come se si trattasse di una novità, ha probabilmente osservato il “metodo” Lynch da una sola angolatura,  sottovalutando un percorso che include l’attenzione del nostro per le possibilità combinatorie e infinite della forma canzone, dall’inclusione di uno degli ultimi quattro Lieder di Strauss nell’Ost di Wild At Heart, quell’Im Abendrot che nasce dalla poesia di Joseph von Eichendorff e che si trasforma in un esempio potentissimo di movimento dalla durata sospesa, per un aumento percettivo della quantità di note nello spazio di pochi minuti, fino al dub narcolettico della Thought Gang, il cui esempio più noto è quello di The Pink Room, traccia inclusa nella colonna sonora di Fire Walk With Me e per certi versi cellula generativa dello spazio sonoro di questo nuovo Crazy Clown Time.

Le lullabies della Alphabet Songs e del paradiso cantato dalla donna nel radiatore, il “futuro anteriore” del Bobby Vinton rivisitato dalla voce di Isabella Rossellini, le pulsioni industrial che minacciano la confezione nostalgica degli album cantati dalla Cruise e sempre in questi la qualità visionaria delle liriche, l’hard blues psicotico ideato insieme a John Neff ed infine, la persistenza pop, in senso del tutto Wharoliano, del suo film più spontaneamente e selvaggiamente musicale, Wild at Heart, confluiscono in un’esperienza che mantiene, tra i collaboratori consueti, solamente il sostegno di Dean Hurley.

Lynch in fondo mette insieme elementi che hanno sempre avuto una connessione diretta con il suo mondo creativo ma con la consapevolezza che nessuna idea possa appartenergli veramente;  in una recente intervista, definisce la (sua) relazione con l’intuito come un’opera di traduzione, ed è probabilmente in questo contesto che si materializza la sua voce, timbro riconoscibilissimo eppure “fuori di se”,  capace com’è di sfrangiarsi nelle numerose presenze che popolano Crazy Clown Time, come se si trattasse allo stesso tempo di scissione e di riassorbimento in un’essenziale rantolo blues di tutte quelle voci tra organico e inorganico che hanno attraversato il suo cinema, da Gordon Cole fino ai deliri verbali di Frank Booth e Bobby Peru.

Se Crazy Clown Time appare come un’esperienza più desertificata e diretta, in questo connubio riuscitissimo tra blues e un’elettronica fuori dal tempo esattamente come il simulacro fifties che ci parla dal futuro in quasi tutto il “suono” Lynchiano, non significa che la forma Jam, quella di cui parlavamo dopo l’uscita di Inland Empire in un articolo intitolato per l’appunto sound-verse / a set vanishes, sia fuori dalle tracce di Crazy Clown Time, come il “più lungo show radiofonico prodotto nelle regioni del baltico”, Lynch concepisce la sua musica nella forma di una “gesture” infinita: “Quella dell’improvvisazione è la tecnica che ho maggiormente impiegato” ha detto a Billboard in una recente intervista, ” Potrei dire che in una Jam di 20, 25 minuti il 97% è spazzatura; forse in quel tre per cento c’è qualcosa,  ed è quello che diventa il motore per il prossimo passo che guida verso una canzone finita

David Lynch Music Company

 

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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