Diciamolo subito, Sleepwalkers è una raccolta diseguale apparentemente adatta per appassionati fedeli, ma allo stesso tempo è un documento interessante di un dissidio intimo nella musica di David Sylvian che mette al centro il timbro di una voce fortemente riconoscibile come strano attrattore capace di assorbire e orientare il risultato in direzioni assolutamente eterogenee, ne è una prova Manafon monolite ostico costruito intorno alla voce feticcio di Sylvian, un oggetto misterioso che i detrattori del musicista inglese hanno liquidato come una Jam session in forma libera appiccicata ai suoi tentativi di rendere sempre più tortuoso il percorso vocale.
Al contrario, per chi scrive, Manafon è un prisma complesso in grado di trasformarsi in una possibilità dell’esperienza sempre diversa, ne è una conferma l’ossessione di Sylvian di tornarci sopra, ri orchestrandolo, ri-suonadolo in un nuovo esperimento che coinvolgerà non solo nuovi musicisti ma anche interpolazioni, aggiunte, aggiornamenti della scrittura, revisione di intere parti.
Allora Sleepwalkers è un po’ questo dormiveglia della voce stessa di Sylvian, che almeno dalla sconcertante Pop Song, viene rimessa in gioco a partire da quell’allure romantica che sta strettissima al compositore inglese e che ha fatto da discrimine (al di là e al di qua) a tutte le potenzialità narrative del suo timbro.
Questa raccolta di out takes, side projects, collaborazioni ne è un rivelatore interessante. La splendida title track è a metà tra le interferenze di Blemish e quella forma ancora calda che risaliva dall’album più soul di Sylvian, il sottovalutato Dead Bees on a Cake, è in un certo senso la prova generale di Manafon, realizzata insieme a Martyn Brandlmayr, parte dei Polwechsel, si apre come un esperimento minacciato da una voce che tende verso l’oscurità ma che allo stesso tempo riesce ad evocare un racconto con caratteristiche timbriche di un potente e nascosto calore solare.
Ballad of a Deadman in duo con Joan (…as a policewoman) Wasser ci riporta al blues minimale del progetto Rain Tree Crow e in termini produttivi alla più recente esperienza Nine Horses in un episodio francamente debole, mentre con Angels siamo dalle parti di Manafon dove il confine tra l’elemento della scrittura poetica e quello dell’esplorazione timbrica indica un crocevia dove troviamo il miglior Sylvian qui prodotto da Punkt (Jan Bang e Erik Honoré).
World Citizen, pubblicato come singolo nel 2003, sovrappone l’elettronica di Sakamoto ad un Sylvian più vicino alla sua tradizione che non al suo lavoro incessante di erosione degli elementi in gioco; Five lines è un altro sintomo di questa oscillante incertezza, la voce di Sylvian sta tra Manafon e un calore avvolgente che trasforma il timbro in un racconto morbido, mentre il lavoro di frizione è riservato agli archi arrangiati da Dai Fujikura, uno dei musicisti coinvolti nell’imminente lavoro di rilettura sul corpus di Manafon.
La sensazione è che a volte siano due mondi separati, non sempre in grado di fondersi, esperimenti molto belli ma anche invalidati da una distanza glaciale e insopportabile; schermo che non si avverte in Blemish e anche in Manafon ma anche in episodi più semplicemente pop come la versione di Wonderful World contenuta in Sleepwalkers e condivisa con Stina Nordenstam, davvero uno degli episodi più belli della parentesi Nine Horses in questo suo ondeggiare, farsi nenia, ponte tra oriente e occidente, pop finalmente imperfetto.
The Day The earth stole heaven riconduce al passato di Nine Horses, con tutti i suoi difetti, in un tentativo di ricostruire il pop sofisticato di Silver Moon fuori tempo massimo, un alveo dove Sylvian non è più convincente e suona irrimediabilmente invecchiato, una sensazione simile è restituita dalla comunque bella Playground Martyrs, scritta ancora insieme a Jensen.
In questo senso la coppia Exit/Delete e The World is everything scritte entrambe con Takagi Masakatsu individuano il tentativo opposto, portare un’eredità pop ingombrante in un contesto nuovo, dove la scrittura non soccombe alle lusinghe dell’apparato melodico e getta un ponte verso la libertà dell’interpretazione (anche quella del performer). E se Thermal fa coppia diretta con Angels, a mio avviso con una minor forza immaginifica, Sugarfuel vive di nuovo di quelle contraddizioni tra un’elettronica (troppo) di classe e il tentativo di renderla fruibile grazie ad una voce dall’impostazione determinata, risultando un esperimento di retroguardia anche rispetto a chi si è sporcato con questi suoni negli ultimi venti anni. Chiude Trauma, out-take di Blemish, incluso nella versione in vinile, piccola sintesi riassuntiva dei suoni di un lavoro tra i più belli di David Sylvian.
Sleepwalkers su samadhisound