allora dimmi il numero esatto
sputalo intero dentro al mio piatto
(Debora Petrina – A Ce soir)
Scrittura. E performance. Un passaggio rituale, quello dalla parola al corpo, meticolosa e perforante ricerca durata una carriera intera per Debora Petrina. in doma è la sintesi e il “debutto” ufficiale nella “forma pop” di un’artista che per anni ha percorso con sfrontatezza i territori della musica colta, il transito tra teatro e danza, le potenzialità ludiche e combinatorie della canzone con la mano in una scarpa e le gambe in aria. Visione obliqua e libera che grida l’urgente necessità di svelare il processo creativo come lotta felicemente irrisolta tra materia e memoria, corpo di conoscenze e risorse in grado di generare un senso di spaesamento percettivo, evitato come fosse peste da buona parte dei gingillini prodotti in Italia, cencepiti per ritagliarsi un ambito già definito. L’identità, invece di recintarla, Petrina la trasforma in un riflesso dell’occhio, uno strano oggetto prismatico che si serve della forma per abbandonarsi entro i suoi confini o per negarli violentemente con un gesto feroce e grottesco. Il fantasma che senza requie vaga dentro e fuori da queste stanze non ha altra abitazione che la decostruzione di chi narra, come se gli attori principali fossero altri fantasmi sonori senza la voglia di sopportare il peso dell’autorità, ma con la possibilità di imbastire una relazione mobile tra l’autore, gli ascoltatori e la corporeità del testo. Tracce. Petrina lo scriveva chiaramente nelle liriche che accompagnavano la comunicazione di She-shoe la performance che ha portato per l’italia intorno al duemilasette, diventata uno degli episodi di in doma; “credimi se cammino attraverso gli specchi e mi sciolgo tra la folla, e se lascio uscire un po’ di vapore e soffoco un grido. Credimi se cado giù e mi sporco di fango o se mi rialzo e metto in scena la mia carne e il mio sangue. Credimi se seguo il mio binario unico”
Il suo binario, riappropriazione di un’identità inafferrabile contro ogni codice di opposizioni binarie; un riso di Medusa che procede per scarti e perpetui scivolamenti cosi da ri-generare continuamente le regole del processo compositivo con una scrittura posseduta da un soggetto plurale, scavando ossessivamente sul concetto di differenza e servendosi del Piano come strumento di passaggio, macchina del tempo che non ha niente da condividere con quella nostalgia della soffitta capace di imbarbarire la ricerca sonora di certo pop alternativo, costretto ad una ripetizione fittizia entro il concetto di citazione, campione, brandello sonoro. Il tempo è sotto stress nel gioco colto, divertente e crudele di Debora Petrina, falda che ne apre altre e le richiude con un’avvicinamento/allontanamento d/all’oggetto. Il ricordo infantile di Babel Bee passa dall’organo al ritmo dei pedali, attenzione materica e concreta al suono che vomita segni ed erotismo nella bellissima A Ce Soir, elettronica diseguale in collisione con una metrica stimolante, difficilmente afferrabile anche dai pattern ritmici; She Shoe, SMS e Sounds-like hanno in comune gioco e trasmutazione della lingua, una terra di nessuno che evita la trappola concettuale utilizzando il suono come sintagma, pattern cromatico che ci fa capire quanto la conoscenza intima dell’arte di Morton Feldman si sia rivelata semina feconda e creativa per i dieci brani che costituiscono il percorso di in doma. Fuori stagione è uno dei momenti che preferisco dal repertorio di Debora, come per Niente Dei Ricci, brano ancora virtualmente “inedito” e che non compare nella raccolta di In doma, la forma del racconto Jazz diventa astrale e stralunata, disossata dal suono di un organetto a due ottave sul quale Debora compone quelle che lei chiama “Ballate”, danze minimali e circolari che perdono progressivamente centro; sullo stesso sentiero biforcuto la cupa e onirica Notte usata e il babelogue satanico di Astéroide 482, viaggio giocoso di un asteroide della fascia principale introdotto dalla voce di Ascanio Celestini; il passaggio fiammeggiante del pianeta Petrina.
In doma è eseguito, cantato, scritto e prodotto da Debora Petrina e annovera le collaborazioni di Patrizia Laquidara (che scrive con Debora Fuori Stagione), Alessandro Fedrigo e Gianni Bertoncini alla ritmica, Elliot Sharp che incendia Pool Story, Amy Kohn, Emir Bijukic; registrato tra New York Udine e Padova è distribuito dal consorzio di Andrea Sbaragli, a Buzz Supreme.
Debora Petrina, il sito ufficiale
Qui il download di un podcast registrato da Debora nel 2007 per indie-eye.it, quaranta minuti tra musica e parole, tra Nick Drake, ricostruzioni e amnesie, Radiohead, brani inediti.