Il nuovo Deerhoof esce a 18 mesi di distanza da Deerhoof Vs. Evil e in un certo senso ne raccoglie gli stimoli per sintesi e invenzione “pop”. Undici tracce come nel precedente, un marchio di fabbrica che trova apparente conciliazione in strutture dal dinamismo conchiuso, una storia di quindici anni riproposta in forma più fruibile e soprattutto con uno slittamento deciso a favore di una maggiore comunicatività melodica. Così sembra, perchè Breakup songs fa fede al suo titolo nel senso di scompaginare o meglio, condurre verso il collasso. Nelle intenzioni di Saunier/Dieterich l’impatto “pop” passa attraverso una filosofia di tipo combinatorio, un oggetto plasmabile e mutante che deve catturare e allo stesso tempo cortocircuitare tutte le regole conosciute. Non è difficile immaginarsi quindi questo apparente cambio di rotta per il combo di San Francisco, a quella che si presumeva come una prospettiva sbilanciata a favore della struttura, il nuovo lavoro risponde con il pedale spinto al massimo sul groove, elemento che dialoga incessantemente con le caratteristiche appiccicose della canzone, rilanciandola verso territori ludici (anche alla John Cage) e tribali. Se quel suono da “Cuban-flavored partynoise – energy music” di cui la band ha già parlato nei primi comunicati diffusi a mezzo stampa per presentare Breakup Songs si era affacciato in alcuni episodi “latini” del lavoro precedente, qui esplode come propellente centrale, dal funk à la Bobby Conn di There’s That Grin alla wave algida e apocalittica di To fly or not to fly, si innesta una perturbante onda festaiola che cerca di combinare rumore bianco con un dancefloor ancestrale (ad es. Mario ‘s Flaming Whiskers III) , in fondo i dadi sono sempre quelli che hanno fatto del gioco dei Deerhoof un momento di estatico e coinvolgente ribaltamento del punto di vista.