…And He Told Us To Turn To The Sun, fondamentale tassello della neopsichedelia italica, risale al 2008. Gli aveva fatto seguito, nel 2010, l’EP No Room For The Weak. Adesso, Padre Murphy è tornato per destabilizzare le nostre percezioni e donare ai suoi fedeli brandelli di (ir)realtà. Con Anyway, your Children will deny it, Il trio trevigiano – formato da Federico Zanatta, Chiara Lee e Vittorio Demarin – mette ulteriormente a fuoco il proprio approccio alla materia sonora. L’esperienza maturata all’estero, con una copiosa attività live e varie collaborazioni, permette ai Father Murphy di spingersi in direzioni diverse senza scadere nell’autocompiacimento, né tantomeno risultare derivativi. Il loro magma emozionale si abbevera a numerosi affluenti del grande e impetuoso fiume delle musiche difformi.
I testi sacri, dai quali il reverendo attinge materiale per le proprie prediche, sono molteplici. Non è cosa facile orientarsi in una selva di sensazioni così aggrovigliate fra loro. Mentre ci facciamo trascinare alla deriva da questi otto deraglianti baccanali, possiamo cogliere la sacralità apocalyptic folk dei Current 93, la malinconia slabbrata e fuori fuoco dei Supreme dicks, la monolitica ieraticità degli Swans, l’umore plumbeo e roccioso di certo krautrock: a fare da collante, un sentimento panico di stupore interiore e continua illuminazione.
La sbilenca How we ended up with feelings of guilt si fa corpo e sangue in tamburi di guerra. L’ambient per sale di tortura di His face showed no distortions è seguita dagli strumenti suonati a mo’ di martello pneumatico, che distruggono il silenzio per sempre, di It is iunny, it is restful both came quickly. Ci si fa poi cullare dalla malinconia di Diggin’ the bottom of the hollow, dolce e deviato esorcismo. In praise of our doubts, con archi e percussioni marziali intrisi di acido, pare frutto del connubio fra Richard Wagner e i conterranei Amon Duul. Their consciusness inizia caricando a testa bassa, per poi sfociare in un fosco cerimoniale. La solitudine cosmica di In the flood with the flood s’innalza maestosa sulle liquide note di un organo da chiesa, ornate da canto apocalittico, pulsazioni metalliche e bisbigli. Don’t let yourself be hurt this time, infine, è una filastrocca malsana, alla quale il timbro deformato degli strumenti impedisce, anche al centesimo ascolto, di divenire familiare alle nostre orecchie.
Questi giovanotti sono pronti a scuotervi i nervi con un viaggio mentale nutrito di gioia e terrore in parti uguali. E’ il comandante che vi parla dalla cabina di comando: mettetevi comodi, rilassatevi e non dimenticate di NON allacciarvi le cinture.