venerdì, Novembre 22, 2024

Father Murphy – No room for the weak (Boring Machines, 2010)

L’ultimo lavoro dei Father Murphy è tra le cose più radicali e incompromissorie mi sia capitato di ascoltare durante quest’anno avaro di stimoli; e ancora una volta, al centro della sperimentazione di Zanatta / Lee / De Marin c’è l’impronta indefinibile della tradizione, un processo che zombiefica quello che si è radicato nella memoria con un gesto che non riesco a definire se non come l’idea di un progressivo deragliamento dell’anima; è un Ep disperato No Room For the weak, lacerante insieme a quell’eco twangy de-genderizzato che si trascina per tutti gli otto minuti di We Now Pray with two hands we now pray with true anger, incubo orrorifico che si confronta con la preghiera predisponendo un territorio desertificato dall’apocalisse; la forza dei Trevigiani sta proprio quì; nell’attitudine ad utilizzare i suoni e la parola in una direzione visionaria; è un concetto materico, fisico, sporcato dal sangue e per niente astratto; astratta al contrario è quella tendenza a servirsi dell’alibi verbale, del sermone, del clericalismo implicito che affligge buona parte delle nostre produzioni parrocchiali incapaci di parlare della realtà che ci circonda proprio perchè ci si avvicinano con una prossimità imbarazzante, allontanandosi dalla ricerca, che è per forza una questione anche interiore. Non è un caso che il percorso dei Father Murphy sia già fuori da questa dinamica grazie a un tour che affiancherà il loro linguaggio a quello di Deerhoof, Xiu Xiu, Sin Ropas per più di 30 date disseminate attraverso gli States. Con questi tre nomi il progetto Father Murphy condivide un approccio libero alla forma, svincolato dalla paura che la tradizione debba essere per forza onorata da una posizione privilegiata, distante, metacritica; in mezzo ai cloni dei cloni dei cloni la loro musica è un calvario vero e proprio, dove il trascinarsi di echi industrial, di una percezione psichedelica che non è mai “citazione” passa attraverso una concezione sincretica dei suoni tanto che l’unica cover presente nell’EP è forse una delle cose più vicine allo spirito di Leonard Cohen che mi sia capitato di ascoltare dal momento in cui si rende irriconoscibile, lancinante, tagliente, capace di uccidere a mani nude; gli unici “ricordi” sono trucchi della memoria personale e mi fanno pensare a quella stagione in cui Bliss Blood e Scott Ayers re-inventavano le intuizioni psichedeliche in una versione pre-formale e sciamanica di quel “linguaggio” abbandonando i ricatti meschini del genere. Splendido.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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